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63a Berlinale: i religiosi gay infiammeranno il concorso?

Due film su omosessualità e religione in corsa per l’Orso d’Oro e il Teddy Award: il polacco “In the name of” e il francese “La religieuse”. Premiato Rosa Von Praunheim con la Berlinale Camera.

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Si sa, i film scandalo sono il sale di un festival, ideali per stuzzicare la curiosità dei giornalisti, far scrivere e discutere, sollevare argomenti controversi di stretta attualità. E anche il Festival di Berlino, la cui 63esima edizione inizia giovedì prossimo, punta sulla sorpresa-shock con ben due drammi in concorso su uno degli ultimi tabù persistenti, l’omosessualità nel mondo religioso. Il primo arriva da un paese profondamente cattolico, la Polonia, si intitola Nel nome di ed è diretto dall’emergente Malgorzata Szumowska che già in Elles con Juliette Binoche aveva affrontato un argomento piuttosto scabroso, la prostituzione fra giovani studentesse francesi, senza in realtà lasciare il segno. Annunciato come “un film su emozioni confuse, repressione, solitudine e la possibilità di trovare, dopotutto, se stessi”, racconta di un fascinoso e stimato sacerdote segretamente gay, Adam (Andrzej Chyra), che vive in un piccolo villaggio rurale polacco dove si occupa di ragazzini problematici. Pur avendo apparentemente rimosso la sua omosessualità per abbracciare la vocazione, Adam si rimetterà in totale discussione quando conoscerà il taciturno Lukasz sconvolto da una tragedia famigliare.

Il secondo film in competizione su un tema analogo è La religieuse di Guillaume Nicloux, tratto dall’omonimo romanzo di Diderot già portato sullo schermo quasi cinquant’anni fa da Jacques Rivette in un dramma con Anna Karina censurato per “blasfemia e immoralità” ma poi reso visibile al pubblico per intercessione di Jean-Luc Godard che scrisse all’allora ministro della cultura André Malraux. L’attrice belga Pauline Étienne incarna una fanciulla sedicenne del diciottesimo secolo, Suzanne, appassionata di musica ma chiusa contro la sua volontà in un convento dove viene insidiata anche sessualmente dalla sostituta della Madre Superiora interpretata da Isabelle Huppert. Che cosa dirà il Presidente della Cei Bagnasco dopo aver tuonato di un apocalittico “orlo del baratro” per l’approvazione del primo articolo del disegno di legge sul matrimonio gay in Francia?

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Entrambi i lungometraggi, oltre a essere in corsa per l’Orso d’Oro, possono ambire anche al Teddy Award, il più importante premio cinequeer del mondo, a cui partecipa «una buona selezione, sono film di qualità» come ha spiegato Wieland Spieck, il curatore della sezione Panorama: «in particolare segnalo il ritorno del Nordamerica con opere innovative». Tra i titoli in lista spiccano il thriller Lose Your Head di Stefan Westerwelle (già vincitore di un Togay col dimenticato Solange du hier bist) e Patrick Shuckmann su un ragazzo omosessuale che si ritrova in un complesso intrigo perché scambiato per un uomo scomparso, la commedia romantica taiwanese Will You Still Love Me Tomorrow di Arvin Chen e due film di cui abbiamo già parlato che sono stati presentati al Sundance: Concussion e Interior. Leather Bar codiretto da James Franco (che vedremo anche in Maladies, firmato da un regista che si fa chiamare semplicemente Carter, dove interpreta un attore di soap ritiratosi dalle scene perché crede di essere schizofrenico). Tra i documentari si potrà anche vedere il nuovo lavoro di Sébastien Lifshitz, Bambi, sulla transessuale franco-algerina Marie Pierre Pruvot.

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La Berlinale Camera, una sorta di tradizionale premio alla carriera, verrà assegnato a Isabella Rossellini e a Rosa Von Praunheim “per il contributo al cinema tedesco e internazionale”. Grande attivista e regista tedesco gay con più di quarant’anni di carriera in cui ha girato una settantina di film, a Von Praunheim è dedicato il documentario Rosakinder diretto a dieci mani da Julia Von Heinz, Chris Kraus, Axel Ranisch, Robert Thalheim e Tom Tykwer che verrà proiettato al Kino International la sera del 13 febbraio dopo la premiazione.