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Agnoletto: l’emergenza Aids non è finita

Vittorio Agnoletto, responsabile scientifico della Lila Cedius, è oggi a Milano per un convegno sui nuovi ‘problemi’ derivanti dalla lunga sopravvivenza dei malati di Aids.

MILANO – Di Aids "si muore sempre di meno" (in Italia si è passati da un tasso di letalità del 91,4% nel 1991 al 9,8% nel 2001), ma "non bisogna confondere il calo della mortalità, dovuto alle cure mediche, con un calo della malattia, che non c’è stato: i nuovi casi non sono diminuiti". A dirlo è stato Vittorio Agnoletto, responsabile scientifico della Lila Cedius, oggi a Milano durante un convegno organizzato dalla Lila stessa alla Camera del Lavoro sui nuovi ‘problemi’ derivanti dalla lunga sopravvivenza dei malati di Aids.

A queste persone, è stato spiegato, occorre garantire una vita normale, lavoro incluso. "Non possiamo pensare ad un futuro di giovani fuori per sempre dal mercato del lavoro", sottolinea Agnoletto, che rimarca la persistenza delle discriminazioni, anche assai gravi, come quella capitata a un giovane manager di una grande azienda milanese, che "venne licenziato per le assenze, che l’azienda imputava ad uno stato depressivo dovuto alla sua omosessualità". In realtà il giovane era malato di Aids: "Si rivolse a noi e ci fu il processo -racconta- vennero chiamati a testimoniare i genitori, che vivevano sull’Appennino, erano orgogliosissimi del figlio e ne ignoravano sia l’omosessualità che la malattia. Il giovane morì durante il processo".

Quando l’azienda accettò di riparare i danni, prosegue Agnoletto, "pose la condizione che noi firmassimo l’impegno a non rivelare mai il nome dell’azienda. Non avrei voluto firmare, ma l’interesse delle parti lese veniva prima di tutto". Così il nome di quell’azienda resta sconosciuto alla pubblica opinione. E se una volta l’Aids veniva collegata a "individui socialmente marginali -nota Claudia Sala, responsabile ricerca della Lila Cedius- oggi colpisce persone ‘normali’, con moglie, marito, figli, un posto di lavoro stabile, con una rete di rapporti sociali estesa, così come possiamo pensare noi stessi e la maggior parte delle persone che ci circondano".