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BORSA: ANCORA NERVOSISMO

Pochi i sorrisi a Piazza Affari: ma c’è chi spera.

La settimana borsistica è iniziata decisamente all’insegna del dramma, con gli indici statunitensi a picco seguiti a ruota (come di consueto purtroppo) dalle altre principali piazze, eccezion fatta per Tokio che ha in parte reagito al trend ribassista scommettendo su aspettative positive per il pacchetto di aiuti economici.

Come per un arcano disegno avverso, una serie di notizie negative tra ennesimi profit warning e dati macroeconomici indicanti un’economia Usa in lenta agonia ha scatenato un vero e proprio panic selling tra gli investitori che hanno operato solo per realizzare.

Ad alleggerire i portafogli poi anche il vicino appuntamento con il fisco da parte dei contribuenti americani che ha senz’altro rappresentato una ulteriore scusante per uscire dal mercato.

Anche dalla Fed sono emerse preoccupazioni a livello globale con lo sguardo proteso verso la perdurante crisi asiatica ed argentina, lo stallo nei consumi interni ed il crescente indebitamento delle famiglie.

E fino a qui, lo scenario che si offriva non era decisamente dei più confortanti.

Ma le reazioni dei mercati spesso irrazionali e repentine non sono tardate, a seguito di previsioni più ottimistiche per il 1° trimestre annunciate da Dell Computer (uno dei colossi della new economy) e, confortati anche dal supporto di molti analisti, a metà settimana gli indici sono schizzati all’insù rimbalzando con poderoso vigore (3° risultato di sempre per il Nasdaq) allontanando per il momento lo spettro dell’orso.

Molti però avvertono che tale situazione è ancora tutta da verificare, e nello stesso rapporto della Dell che era stato il detonatore di tanta esplosiva euforia appaiono comunque inviti alla prudenza per l’incertezza sempre presente.

Ecco allora che per dare solide fondamenta a questo parziale recupero gli economisti invocano a gran voce un intervento in materia dei tassi da parte della Reserve, ma su questo fronte le bocche sono sempre cucite forse per mostrare fermezza ed autonomia decisionale o, come sostengono altri per mancanza di idee chiare sul futuro.

E che manchino le idee chiare lo si è visto sul finale della settimana quando la diffusione di nuovi dati macro sull’occupazione ha evidenziato una economia ancora in difficoltà ed un ricomparsa di spinte inflazionistiche, spingendo gli indici ad un nuovo ribasso.

A questo punto la palla rimbalza agli ambienti federali perché la giochino con decisione.

Anche in Europa è auspicato un intervento simile, ed alcune avvisaglie si sono avute in Inghilterra con il taglio del tasso di sconto di 25 punti base.

Aprendo poi la finestra sul cortile di casa dobbiamo registrare comunque una buona tenuta del Mibtel, sostenuto da telefonici, energetici e finanziari ed un sostanziale unanime parere degli investitori sui prezzi a buon mercato, nonostante il presidente della Consob Luigi Spaventa abbia lanciato un monito sulla possibilità di ulteriori correzioni dei valori azionari soprattutto in seno alle neonate società della new economy.

Piazze asiatiche in sostanziale alternanza, con Tokio a calamitare le attenzioni della comunità internazionale in attesa di serie indicazioni di ripresa.

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LA LENTE DI INGRANDIMENTO

C’era una volta una tigre, forte ed aggressiva, il cui ruggito era avvertito in ogni angolo della terra incutendo timore e scoraggiando chiunque decidesse di sfidarla…

Oggi questa belva feroce non è altro che un micio sonnacchioso dal mesto, flebile miagolio che a malapena si regge sulle proprie zampe e il cui nome (un tempo causa di brividi finanziari) è Giappone.

Come già abbiamo sottolineato in altre occasioni, l’ex arcipelago felice vive ormai da più di un decennio una situazione di stagnazione economica che ha eroso lentamente quell’immagine di oasi fortunata che si era costruita nel tempo grazie agli indiscussi successi del modello nipponico.

In particolare si sono sgonfiate le bolle speculative che avevano interessato la borsa ed il settore immobiliare, sono calati paurosamente i consumi interni, abbiamo assistito al fallimento di innumerevoli società e sono cresciute a dismisura le sofferenze bancarie danneggiando non poco i giganti del credito che si sono ritrovati con i piedi d’argilla.

E tutto questo alimentato dalla parallela incapacità della classe politica di attuare riforme profonde e durature che potessero garantire il mantenimento della crescita economica e del benessere diffuso, quasi come se vi fosse la convinzione della inutilità di tali misure di fronte ad un motore considerato perpetuo.

Ed invece gli ingranaggi si sono improvvisamente bloccati spiazzando gran parte degli ambienti finanziari rivelando la necessità anche in una economia florida di sostegni e di revisioni continue.

Occorre osservare infine che la potenza nipponica ha storicamente spaventato America ed Europa che in passato non hanno cercato con essa una reale collaborazione ed ancor più, in questi anni di recessione per l’ex tigre asiatica, hanno impedito che lo yen si indebolisse per favorire le esportazioni bloccando l’eventuale ripartenza.

Oggi, a distanza di tanti anni dal boom, la classe politica sembra aver capito la lezione avviando radicali riforme in collaborazione con la Boj ed innescando una serie di reazioni positive che potrebbero far risvegliare il gigante sopito; in particolare la politica dei tassi zero potrebbe essere la chiave di volta per far ripartire i consumi ormai depressi, aiutati magari da uno yen leggermente più debole, medicina ideale per l’export del Sol Levante.

Anche l’occidente ha ormai capito che un Giappone solido non può danneggiare l’economia globale ma anzi potrebbe esserne il nuovo traino visto il rallentamento evidente della locomotiva Usa, e la Casa Bianca preme per un sempre maggior impegno del governo di Tokio; lo stesso governatore Greenspan, preoccupato per la situazione americana, ha recentemente notato come la stagnazione nipponica abbia frenato la crescita globale auspicando una risoluzione in tempi brevi.

Ed è proprio per queste considerazioni che moltissimi gestori hanno deciso di aumentare il peso del Giappone nei loro portafogli nella convinzione che possa sovraperformare Europa e America; senza dimenticare poi che il Nikkei è ai minimi dal 1984 e benché la sua composizione si sia modificata con sempre maggior incidenza dei titoli tecnologici, è un indice storicamente meno volatile del Nasdaq e quindi meno assoggettato agli sbalzi di questo periodo di crisi.

Non a caso, nonostante la tempesta si stia abbattendo sulle borse mondiali, a Tokio il trend sembra viaggiare in direzione opposta e sono evidenti le aspettative di riforme concrete; quantomeno appaiono più solide che in passato, spingendo gli investitori a comprare fiduciosi in un nuovo miracolo.

Da evidenziare infine che al contrario di quanto si verifica negli Usa dove la gente ricorre al credito per il proprio shopping borsistico, in Giappone c’è una enorme massa di liquidità (ricordiamo che è il 1° paese al mondo come propensione al risparmio) che può rappresentare la vera linfa vitale in grado di rianimare il torpore finanziario.

Comunque gli occhi sono puntati sul piano di aiuti economici varato venerdì, la cui efficacia è tutta da testare sebbene appaia più solido dei precedenti; ma anche se lascia aperte delle incognite, la maggior parte degli analisti si dichiara fiduciosa e pronta a scommettere sul vecchio “Samurai”.

A seguito di tali considerazioni, per coloro che non si lasciano intimorire dagli alti e bassi degli azionari, forse è venuto il momento di cominciare ad investire nei fondi o titoli specializzati in questa area ed anche il nostro consiglio si muove in tale direzione nella speranza comune che il sereno torni a splendere presto su tutti i mercati.

di Sirio Belli