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BROKEBACK HA FATTO CRASH

Delusione per Ang Lee battuto da ‘Crash’ come miglior film; si consola con miglior regia, sceneggiatura non originale e colonna sonora. Seymour Hoffman miglior attore per ‘Capote’.

È stato uno shock. Vedere ‘Brokeback Mountain’ battuto sul filo di lana da ‘Crash‘ proprio non ce l’aspettavamo. Tanto più che Ang Lee aveva appena ricevuto la statuetta come miglior regista, di solito naturale preludio alla consacrazione come miglior film. E invece no, Jack Nicholson (e già è stata una sorpresa, pensavamo a un ‘passaggio del testimone’ da parte di Clint Eastwood) ha detto la parola catastroficamente fatale: ‘Crash’, che aveva già vinto per la migliore sceneggiatura originale e per il montaggio, come da previsioni, del resto.

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Se come numero di Oscar è in definitiva un pareggio con ‘Brokeback Mountain’ vincitore anch’esso di tre Academy Awards, ossia miglior regia, sceneggiatura non originale e colonna sonora, lo smacco per la mancata della statuetta come ‘best picture’ è un segnale significativo. «Vorrei innanzitutto ringraziare due persone che non esistono nella realtà ma grazie all’immaginazione della scrittrice Annie Proulx e degli sceneggiatori – ha detto sul palco Ang Lee – I loro nomi sono Ennis e Jack. Poi voglio dire grazie a tutti quelli che hanno permesso che ‘Brokeback Mountain’ non fosse solo un film su donne e uomini omosessuali il cui amore è ostacolato dalla società ma un film sulla grandezza dell’amore in sé». Ha poi citato una celebre battuta del film osservando l’Oscar e dicendogli: «Vorrei riuscire a lasciarti», ormai speranzoso di un rush finale che non c’è stato.

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Mai come quest’anno premi così frastagliati (tre Oscar, tecnici, anche a ‘Memorie di una geisha‘ – fotografia, scenografia e costumi – e a ‘King Kong‘ – montaggio e missaggio sonoro nonché effetti visivi) a riprova della mancanza di un titolo davvero convincente. Vince un film produttivamente ancora più ‘piccolo’ del favorito (‘Crash’ – nella foto la produttrice Cathy Schulman e il regista Paul Haggis – è costato circa 6.5 milioni di dollari, meno della metà di ‘Brokeback Mountain’) e di cui non si è parlato molto da noi. Chi non l’ha visto può recuperarlo la settimana prossima in dvd con ‘Panorama’. Di certo il corale ‘Crash’, ambientato a Los Angeles dove vive la maggior parte dei votanti dell’Academy, non ha avuto l’impatto sull’immaginario del pubblico come il film di Ang Lee, definito invece dal Guardian ‘il film americano più importante degli ultimi anni’ e ritenuto da molti ‘la storia d’amore più romantica dopo Titanic’. Premio omofobico? Forse…
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Premio omofobico? Forse ha infastidito i membri dell’Academy più anziani, irritati dalla messa in discussione di un mito intoccabile per l’America, quello del macho in cinturone. «Gli americani non vogliono che i cowboy siano gay» ha commentato lo sceneggiatore Larry McMurtry dopo la cerimonia.
Ma la questione è più complessa. Con ‘Crash‘ vince un tema molto attuale, probabilmente più sentito dell’accettazione gay, i pregiudizi razziali (nel film non ci sono solo bianchi e neri ma anche ispanici, iraniani, arabi) e la difficoltà di convivenza in quella babele di lingue e religioni che è Los Angeles (e il mondo intero, del resto). Già durante la premiazione, con la vittoria un po’ a sorpresa del miglior film straniero da parte del sudafricano ‘Tsotsi‘ e della migliore canzone originale (il pezzo rap ‘all black’ di ‘Hustle & Flow’ ‘It’s hard out here for a pimp’ – ‘Qui è difficile per un ruffiano’), si era sentito il fiato della comunità nera esprimere il proprio desiderio di esserci in massa, su quel palco.
Ma forse ha vinto più semplicemente il film più bello (la struttura circolare di ‘Crash’, cronaca della vita di vari personaggi losangelini in 36 ore concentrate con ‘andersoniano’ vigore, è compatta, vibrante, senza le sbavature che non mancano in ‘Brokeback Mountain’) anche se l’Academy si vede così sfuggire la possibilità di coronare i trionfi del film di Ang Lee con un premio anche al suo valore simbolico. Ma attenzione: ‘Brokeback Mountain’ è un film meno americano di ‘Crash’ (è la prima volta che un asiatico vince come miglior regista) e l’Academy in tal modo vuol dare un chiaro messaggio sull’importanza dell’autorialità nella Nuova Hollywood in barba al mainstream di facile consumo, il che, a priori, non è assolutamente negativo.

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Il resto dei premi rispetta comunque il copione delle previsioni: miglior attore il gigantesco Philip Seymour Hoffman per ‘Capote’, i cui finanziamenti arrivano anche da Canada e Germania («Vorrei che ci fosse qui mia mamma, sarebbe orgogliosa di me. Ha cresciuto quattro figli da sola»); miglior attrice Reese Witherspoone, che canta perfettamente con la sua voce nel ruolo di June Carter, moglie amorevole di Johnny Cash in ‘Walk the line‘.

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Migliori non protagonisti i già Golden Globe Rachel Weisz per ‘The Constant Gardener‘ e George Clooney per ‘Syriana’. «Questo vuol dire che non vincerò come miglior regista?» ha commentato sarcastico l’attore.
Serata sobria e abbastanza divertente zeppa di riferimenti gay: in apertura una voce off cerca un presentatore per la serata. Viene inquadrata la tenda di ‘Brokeback Mountain’. Spuntano Chris Rock e Billy Crystal che dicono sorridenti: «Ci spiace, siamo impegnati!».

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Sul palco abbellito da una elegante scenografia argentea arriva il brizzolato Jon Stewart che un attimo prima era apparso in video a letto con George Clooney: «Buonasera signore e signori… e Felicity!». Segue un’introduzione ai film da premiare: «Los Angeles è una specie di Sodoma e Gomorra, un buco morale! ‘Capote’ è invece la dimostrazione che non tutti i gay sono cowboy virili». È la volta di una fulminante compilation (uno dei momenti più riusciti della serata) con scene western colme di sottotesti gay tra ambigue consegne di pistole e sguardi languidi tutti al maschile, da John Wayne a Montgomery Clift.

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Tra i premiati, il vincitore per il miglior make up di ‘Le cronache di Narnia: la strega, il leone e l’armadio‘ Howard Berger ha ringraziato il suo fidanzato. Abiti non memorabili, con prevalenza del nero: spiccano il pesca acido del tulle firmato Vera Wang di Michelle Williams, un eccentrico Christian Dior con megafiocco per Charlize Theron (solo lei avrebbe potuto renderlo così raffinato) e un regale Abu Sandeep per la sublime ‘dame’ Judy Dench.
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