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BUSH DICHIARA GUERRA AI GAY

Il presidente americano si imbarca in un nuovo conflitto, annunciando un emendamento che vieti i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Protestano gay e democratici. E i toni si accendono.

WASHINGTON – Ecco la nuova guerra di Bush. Una guerra che riporti l’ordine nel terzo mondo delle unioni matrimoniali, reso instabile da quei “terroristi” dei giudici attivisti e da quei “kamikaze” dei sindaci ribelli. Obiettivo della guerra: sancire irrevocabilmente che gay e lesbiche sono cittadini di serie B.
L’annunciata proposta di un emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti che definisca il matrimonio come unione tra un uomo e una donna, dovrebbe diventare presto effettiva: in una conferenza stampa di ieri, George W. Bush, ha annunciato che chiederà al Congresso di approvare in tempi brevi e di inoltrare agli Stati per la ratifica finale, l’emendamento in questione. «L’emendamento dovrebbe proteggere pienamente il matrimonio – afferma il Presidente – mentre lascia i legislatori statali liberi di fare le loro scelte nel definire disposizioni legali diverse dal matrimonio».
Bush ha ricordato come il Defense of Marriage Act, approvato dal Congresso otto anni fa, che definisce il matrimonio come unione tra un uomo e una donna, sia messo in pericolo dalle azioni di alcuni giudici attivisti, come quelli della Corte del Massachusetts che hanno annunciato che da maggio ordineranno il rilascio di licenze matrimoniali anche alle coppie omosessuali, e dalle iniziative di alcuni funzionari pubblici, come il sindaco di San Francisco che dal 13 febbraio scorso ha sposato diverse migliaia di gay e lesbiche.
«Dopo più di due secoli di giurisprudenza americana, e millenni di esperienza umana – commenta il Presidente – pochi giudici e autorità locali stanno presumendo di poter cambiare la più fondamentale istituzione della civilizzazione. Le loro azioni hanno creato confusione su un argomento che richiede chiarezza». Sembra di sentire gli schiavisti dell’800 che si rifacevano a millenni di tradizione per giustificare innegabilmente l’inferiorità dell’uomo nero rispetto alla razza bianca…
Ora, la guerra è scoppiata: Bush ha deciso di schierarsi contro le minoranze omosessuali, e lo fa con il massimo dell’ipocrisia. «Dovremmo condurre questo difficile dibattito in un modo degno del nostro paese, senza amarezza o rabbia» sono le battute conclusive del suo discorso.
Ma le organizzazioni gay non ci stanno. La National Gay And Lesbian Task Force ha definito la mossa di Bush “spregevole”: «Non è nient’altro che una tattica elettorale tesa a usare le nostre vite e le nostre famiglie per dividere l’elettorato e deviare l’attenzione dalle tematiche critiche che affronta il nostro paese – afferma Matt Foreman, presidente della più vecchia organizzazione glbt americana – In confronto a questo, l’esortazione del presidente affinché questo dibattito sia condotto ‘senza amarezza o rabbia’ è un insulto alle nostre famiglie, alla nostra dignità e ai nostri contributi come cittadini alla vita di questa nazione. Consideriamo l’annuncio di oggi come una dichiarazione di guerra all’America gay».
Anche da parte dei Democratici si levano voci di protesta: «E’ il gesto disperato di un uomo che ha perso il controllo – afferma Mark Leno, deputato democratico – E’ un giorno molto nero per la storia dell’America quando per la prima volta un presidente americano ha appoggiato la codifica per legge di una discriminazione nel nostro più prezioso documento».
Cosa accadrà ora? Un emendamento costituzionale deve essere approvato con una maggioranza di due terzi sia alla Camera che al Senato, e poi deve essere ratificato dai tre quarti, o da 38, dei cinquanta Stati dell’Unione. E sono molti a pensare che questa impresa non sarà così facile. John Feehery, portavoce del leader dei Repubblicani alla Camera Dennis Hastert, dice che sarà difficile racimolare tutti i voti neccessari, ma che questo potrebbe non essere un problema: «A volte vinci perdendo» afferma, sottolineando che l’argomento traccerà una linea di demarcazione chiara tra Democratici e Repubblicani, così come tra Bush e Kerry.