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C’È UN ISLAM CONTRO L’OMOFOBIA

Dalla Francia un appello per aderire al ‘Manifesto musulmano delle libertà’. Che prevede diritti per donne, gay e miscredenti. E che raccoglie consensi. Anche in Italia.

Sembra assumere rilevanza “straordinaria” l’iniziativa francese del “Manifesto musulmano delle libertà”. La notizia arriva per il tramite di Gianni De Martino ed è stata ripresa da un vero e proprio Think Tank per la libertà che si sta formando in Italia, e che ha come punto di riferimento la rivista “Ideazione“, “il Foglio” di Giuliano Ferrara e “Noi e gli altri”, la rubrica di riflessioni e di dibattito aperta da Magdi Allam per il “Corriere della Sera”.
Un folto gruppo di intellettuali, giornalisti, cittadini di origine musulmana ha deciso di siglare questo Manifesto mirante a salvare l’Islam dalla cattiva letteratura e dal suicidio provocato dal pensiero integralista. I firmatari e gli “amici del Manifesto” mirano a diffondere nella cultura islamica gli ideali di pace, di tolleranza verso le donne, le persone omosessuali e i laici.

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Si può essere musulmani, quindi, ed essere contro la misoginia, l’omofobia, l’antisemitismo e l’islam politico: «Noi donne e uomini di cultura musulmana – credenti, agnostici o atei – denunciamo con la massima energia le dichiarazioni e gli atti di misoginia, di omofobia e di antisemitismo, rivendicati in nome dell’Islam, di cui siamo i testimoni da qualche tempo, qui in Francia».
Il diritto islamico è il terzo grande sistema giuridico mondiale. In più di quaranta Stati al mondo, la vita è regolata dall’ “Islam”, dalla “totale sottomissione ad Allah”. Difficile distinguere tra peccato e reato. Trovare posizioni unitarie nell’interpretazione della “sharia”, “la via da seguire” (ma si può anche tradurre con “legge divina”), è impossibile.
Fabio Scuto de “la Repubblica” (07.02.05) spiega come per la legge islamica i peccati-reati sono inglobati in tre grandi categorie: gli hudud sono i reati più gravi (come l’apostasia, la bestemmia o l’adulterio puniti con la flagellazione, la lapidazione, la decapitazione). I qisas, i delitti di sangue (omicidi, lesioni), sono puniti con la legge del taglione, ma se ci si accorda un indennizzo risolve tutto. La “sodomia” rientra nei tazir (il giudice-teologo ha un forte potere discrezionale), sono i peccati più lievi (come i furti, il consumo di alcol, la disobbedienza al marito e la falsa testimonianza). La donna? Un semplice complemento della vita dell’uomo: nessun diritto, solo doveri.
Per questo, secondo quanto scritto nel Manifesto, “occorre ritrovare la forza di una laicità viva“, promuovere l'”uguaglianza tra i sessi, condizione di democrazia”, dire “basta con l’omofobia“:

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«Per gli islamisti come per tutti i maschilisti ed integralisti, “essere un uomo” significa esercitare un potere sulle donne, ivi compreso il potere sessuale. Ai loro occhi ogni uomo che patteggia per l’uguaglianza dei sessi è potenzialmente un sotto-uomo, un “finocchio“. Questo modo di pensare è ricorrente e va di pari passo con il rafforzamento dell’islamismo politico: la sua ferocia è pari solo alla sua ipocrisia».
In Francia, uno degli organizzatori delle recenti manifestazioni a favore del velo islamico, avrebbe dichiarato: “È uno scandalo che individui scioccati dal velo non siano scioccati dall’omosessualità“.
«Secondo lui – commentano gli autori del Manifesto – è probabile che una società virtuosa sia una società che rinchiude le donne dietro il velo e gli omosessuali dietro le sbarre, come si è visto fare in Egitto. Si trema pensando a ciò che tali teorie, se trionfassero, porterebbero per tutti gli “spudorati”, ossia le donne senza velo, gli omosessuali o i miscredenti. Noi consideriamo invece che il riconoscimento dell’esistenza dell’omosessualità e la libertà per gli omosessuali di vivere la propria vita come intendono loro è un progresso che non si discute: dal momento in cui una persona rispetta le leggi di protezione dei minorenni, le scelte sessuali di ognuno riguardano solo lui e in nessun modo lo Stato».
All’interno degli Stati musulmani c’è uno scontro non privo di ambiguità fra “conservatori” e “riformatori”. Il presidente iraniano, il “moderato” Khatami, ha spiegato: “… esistono due correnti: quella che sostiene la democrazia e lo sviluppo, e quella che vuole l’arretratezza e crea i terroristi”.
Intanto il collettivo riunito intorno al Manifesto delle libertà, pubblicato il 16 febbraio 2004 su “Libération”, si è costituito nell’Associazione omonima ed ha ritenuto di non mantenere più l’iniziale separazione, date le circostanze, tra i firmatari di “cultura musulmana” e gli “amici del Manifesto”.
«La questione che si gioca in questo momento attorno all’Islam – spiega Tawfik Allal, presidente della neonata Associazione del Manifesto delle libertà – concerne tutte e tutti, e la riflessione e l’azione transnazionale che vogliamo condurre ha bisogno di tutte le energie». Per informazioni: manifeste@manifeste.org – https://www.manifeste.org

di Pasquale Quaranta