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Cannes: apre il festival delle donne. Ma sono donne in guerra

“Grace de Monaco” apre le danze della 67esima edizione: accolto tiepidamente dalla stampa

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Il caro vecchio Snaporaz, un Marcello Mastroianni sornione e paterno, in una gigantografia di 624 metri quadri che avvolge elegante il Palais des Festivals, veglierà paziente su Cannes, quest’anno più che mai Città delle Donne, dipartimento di CineMagnifrance (quasi la metà dei film in concorso, otto su diciotto, hanno qualcosa di francese: cinque registi sono transalpini, tre canadesi).
Sì, sarà tutto loro e delle donne il Regno della Settima Arte, quest’anno, 67esima edizione e l’ultima, la trentottesima, per il suo Presidente Gilles Jacob che si definisce un ‘semplice servitore del Festival’. Lo ringrazieremo in tutti i modi possibili. Cederà lo scettro l’anno prossimo a Pierre Lescure, ex patron di Canal Plus.
Donne. Bellissime, agguerrite, umiliate. Si parte con la Regina Suprema dell’Eleganza quando era vera classe, portamento, leggenda. Grace di Monaco, da attrice a principessa, con in dote il regalo più ambito, ossia recitare la diva fiabesca nella vita reale, fiabesca anch’essa.

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Lei è Nicole Kidman, pronta a mascherare aggiunte cosmetiche di cui certo la Divina Grace non aveva bisogno, sperando che stasera sulla Montée des Marches non combini i disastri di cipria della Jolie all’anteprima newyorchese di “The Normal Heart” prodotto da suo marito Brad.
Ma “Grace de Monaco” parte col piede sbagliato: tiepidi i giornalisti che le hanno riservato pochi applausi e qualche fischio alla proiezione mattutina.
Diretto da Olivier Dahan, specializzato in biopic da Oscar (“La vie en rose”), la coproduzione anche italiana “Grace de Monaco” (l’illuminato Andrea Occhipinti di Lucky Red) vanta nel cast l’attore gay inglese Derek Jacobi nei raffinati panni del conte Fernando D’Aillieres mentre il segaligno Tim Roth sarà il principe Ranieri. Ma ci mancava poco che i Grimaldi, quelli veri, tirassero fuori i grimaldelli: a loro il film non è piaciuto affatto, per i monegaschi “è un film storico con gravi inesattezze, inutilmente glamour”.

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Ma è giallo: Thierry Frémaux, direttore del Festival, ha dichiarato che “non hanno visto il film” (nella versione presentata a Cannes), già oggetto di baruffa tra regista e produttore americano, il potentissimo Harvey Weinstein.
Donne. Donne in trincea, battagliere, combattive, dalla guerra cecena in “The Search” di Hazanavicius, remake contemporaneo dell’Odissea Tragica di Zinnemann, già favorito, alle tre signore con problemi mentali nel western “The Homesman” di Tommy Lee Jones (altro trend: il Western, genere virile per eccellenza ormai genderizzato da “Brokeback Mountain”, quindi visto con ottica femminile). Si passa poi al di là della trincea con la giuria per metà donna, capeggiata dalla Presidentessa Jane Campion, l’unica Palma d’Oro rosa, ventuno anni fa, con “Lezioni di piano” (c’è anche Sofia Coppola, sicuramente dalla nostra parte).

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Donne italiane, innovatrici, coraggiose: scalzano i maschi e finiscono col difendere i nostri colori in concorso grazie a “Le meraviglie” di Alice Rohrwacher che ci aveva conquistato col magnifico “Corpo Celeste” (nel cast ci sono la sorella Alba e una Monica Bellucci fatata). E al Certain Regard c’è la ribelle ante litteram Asia Argento con un’opera che sa di ‘selfilm’ dannatamente autobiografico, “Incompresa”, con Giulia Salerno, Charlotte Gainsbourg e Gabriel Garko. Donne. Donne sognate, agognate, desiderose di esserlo anche se anagraficamente maschi: ecco i film in corsa per la quinta Queer Palm presieduta da Mr. Fetish Bruce Labruce. La scommessa italiana che è piaciuta molto a Thierry Frémaux è “Più buio di mezzanotte” di Sebastiano Riso che domani inaugura la Semaine de la Critique, sull’adolescenza del multiartista gender Davide Cordova, già portaborsette di Luxuria. Ci aspettiamo molto dal complesso rapporto madre-figlio in “Mommy” del prodigioso Xavier Dolan, finalmente in concorso (“Sarà un film alla Ken Loach”: anche lui è in competizione col biopic “Jimmy’s Hall”).

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Sabato correrà per la Palma il film ‘gemello’ su Yves Saint Laurent che s’intitola semplicemente “Saint Laurent” ed è diretto da Bertrand Bonello, anch’esso al centro di una polemica perché osteggiato dal ‘vedovo’ Pierre Bergé, il quale, ricordiamo, è azionista del quotidiano ‘Le Monde’, quindi potentissimo anche a livello mediatico.
Donne irraggiungibili, extratop, stelle giganti: quelle hollywoodiane che stasera sfileranno alla blindatissima Montée des Marches per “Grace de Monaco” e le dive massime dell’attesissimo “Maps to the Stars” di Cronenberg, domenica prossima: Julianne Moore, Mia Wasikowska, Carrie Fisher (ma ci sono anche Robert Pattinson, John Cusack e Joe Pingue). Occhio a non bruciarsi.