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CHI DIFENDE I GAY D’EGITTO?

Al processo della Queen Boat, 3 anni di lavori forzati per 21 imputati. Al Cairo, nessuno che li protegga. In Europa, si muovono i Radicali. E i gruppi italiani? Ecco cosa rispondono.

BRUXELLES – Nessun anatema sembra fermare il processo di repressione egiziano verso i suoi 50 cittadini, rei di omosessualità, che stanno vivendo un calvario dentro e fuori la loro comunità familiare. Il 15 marzo la Corte amministrativa del Cairo ha comminato una condanna a tre anni di prigione e lavori forzati per 21 imputati, assolvendo gli altri 29 coinvolti nel caso “Queen Nile”. Minata la legalità per gli imputati condannati che hanno visto inasprire la loro pena, ancora una volta il Parlamento Europeo si fa carico di questa ingiustizia per mano dei deputati radicali Maurizio Turco e Marco Cappato; Ottavio Marzocchi resta, come sempre, il referente in queste battaglie di civiltà.
Trentotto eurodeputati appartenenti ai socialisti, verdi, liberali e comunisti hanno sottoscritto una interrogazione parlamentare radicale che verrà dibattuta nel corso della prossima sessione del Parlamento Europeo e condurrà l’aula a votare una risoluzione contro le persecuzioni degli omosessuali in Egitto. In tempi di guerra sarà difficile dialogare con un paese mediorientale su questioni di diritti civili e difesa internazionale, ma la richiesta dei radicali perché Commissione e Consiglio europeo attivino tutti i canali per far capire a Mubarak di esercitare il potere con maggiore legalità verso le minoranze sessuali, avrà un peso anche sull’applicazione dell’Accordo di Associazione tra l’Unione Europea e l’Egitto.
Di questa vicenda Gay.it se ne è occupato con articoli e inviti alla mobilitazione, ma il movimento omosessuale nel suo insieme cosa ha fatto? Molti responsabili di associazioni, da noi interrogati, recitano un mea culpa dignitoso seppur tardivo.

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Ma quei ragazzi tenuti nelle fatiscenti prigioni egiziane, rei di amare altri ragazzi, avrebbero forse avuto diverso destino se associazioni, militanti e comunità gay si fossero mobilitate con maggiore energia e visibilità. Renato Sabbadini, “ministro” esteri di ArciGay, cita come tutti l’iniziativa radicale e ricorda i diversi comunicati fatti durante i vari processi. Con Ilga-Europe, tetto europeo dei movimenti GLBT, faranno pressione verso il Parlamento Europeo, anche minacciando di interrompere i trattati commerciali con l’Egitto se non verranno ristabilite le libertà sessuali. Certamente ci sarebbero stati maggiori sollecitazioni d’intervento se l’Egitto fosse uno Stato candidato ad entrare nell’Unione. «E’ molto difficile – dice Sabbadini – intervenire in un Paese dove non c’è qualche forma organizzata di rappresentanza omosessuale. L’effetto positivo in questa orrenda vicenda è che molti gay egiziani stanno cercando di organizzarsi. Certo, potevamo occuparcene meglio». L’analisi di Sabbadini non è così peregrina. Va ricordato che il movimento gay in Europa, è nato in Germania a seguito delle leggi prussiane che condannavano l’omosessualità.

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Maggiore contrizione in Imma Battaglia che accusa di inerzia i vari movimenti e si chiede se una protesta notrana in terra d’Egitto avrebbe cambiato il verdetto dei giudici. «Siamo spesso inerti di fronte alle tragedie dei gay e delle lesbiche nei paesi mediorientali. A volte non conosciamo neppure tante condanne a morte che vengono elargite in Siria o in Iran. Non c’è coesione tra le varie organizzazioni omosessuali e quel patrimonio di unità che ci rende vincenti si interrompe di fronte alla difesa di tanti omosessuali cui è negato il diritto di esistere. Poi mi chiedo cosa posso fare io, cittadina libera ma senza strumenti per i miei amici gay e lesbiche che non possiedono libertà». Al boicottaggio turistico ci hanno pensato in molti ma, c’è anche il rischio che un Egitto senza una risorsa preziosa come l’entrata di valuta straniera, possa diventare più povero creando maggiori opportunità per i gruppi fondamentalisti islamici e, con meno stranieri in giro, eventuali atti repressivi e di sopruso non verrebbero a conoscenza di alcuno.
Anche per Riccardo Gottardi dell’Ilga-Europe i movimenti gay italiani si sono un po’ defilati sulla questione egiziana, adagiati sugli allori radicali e di quei parlamentari europei che si sono mossi a difesa degli imputati della “Queen Nile”. Ma l’uso di questi canali istituzionali conduce spesso a risultati altrimenti non percorribili. Se non si fosse mossa l’Europa, dice Gottardi, né Mubarak né il presidente del Parlamento egiziano ci avrebbero ascoltati. Stessa tesi viene adombrata da Gay Lib che nutre molti dubbi su una reale assenza delle associazioni gay ma che, certamente, senza l’intervento dell’Unione Europea e la determinante campagna radicale, non ventuno ma tutti e cinquanta gli omosessuali egiziani sarebbero stati condannati anche a pene molto più severe.

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Andrea Benedino dice la sua: «L’Egitto, dopo questa sentenza, ha dimostrato come sui diritti umani sia ancora un Paese retrivo. Onore ai radicali ma, anche noi, avevamo già attuato una protesta davanti all’ambasciata egiziana a Roma. Devo dire che noto anch’io un certo silenzio delle associazioni, rispetto a questa ennesima sentenza. Il nostro è un coordinamento omosessuale di un partito e, quindi il mio ruolo è diverso da quello delle associazioni e gli europarlamentari ds sono stati a fianco degli europarlamentari radicali in questa come nelle altre occasioni che riguardava il caso Egitto.»
Autocritica vuol dire prendere coscienza e conoscenza di fatti che restano nel cuore per il richiamo di dolore e di aiuto che arriva fino a noi. Le associazioni lo fanno, a noi il compito di non abbassare la guardia contro atti di vero e proprio terrore rivolte alle comunità gay viventi in quei Paesi che cercano di escluderli da ogni diritto di libertà. In tempi di belligeranza far sentire viva la lotta anche per i diritti arricchisce coloro che sentono prioritaria una pacificazione globale, scendono nelle piazze e non dimenticano di dichiarare una guerra totale al sopruso e alla violenza contro gli omosessuali senza difesa. L’11 maggio, i radicali invitano tutti ad indossare un fazzoletto rosso, a testimonianza e appoggio verso gli omosessuali uccisi e perseguitati: un modo per rendere visibile la nostra manifestazione d’amore.

di Mario Cirrito