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CinemaSTop, il rispettoso Pasolini ma anche Party Girl, Posh e Lucy

Abel Ferrara non convince col suo omaggio onesto ma un po’ esangue al maestro friulano.

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Pasolini, il (troppo) trattenuto omaggio di Ferrara non entusiasma

Non sembra nemmeno un film di Abel Ferrara. Chi si aspetta un sulfureo confronto creativo tra il cinema ‘sporco’ e non allineato del regista americano e il maestro friulano nell’attesissimo “Pasolini” resterà deluso. Non che sia un brutto film, intendiamoci, ma è (troppo) trattenuto, esageratamente rispettoso, anche un po’ esangue. Ricostruendo l’ultima giornata di PPP attraverso vari frammenti non molto amalgamati tra di loro, Ferrara mantiene una certa distanza dalla sua anima più oscura e torturata, quasi spaventato all’idea di offenderne in qualche modo la memoria. E quando potrebbe dare sfogo alla visionarietà traducendo in immagini le pagine degli incompiuti “Petrolio” e “Porno Teo Kolossal”, purtroppo fallisce: del primo vediamo poco più del ‘rito dei 20 pompini’ di Carlo (Roberto Zibetti) al pratone della Casilina mentre, del secondo, la scena dell’orgia della fertilità nella città di Sodoma in cui, un giorno all’anno, i gay si accoppiano con le lesbiche, è piuttosto sciatta (azzeccata invece l’idea di far interpretare a Scamarcio il ruolo di Ninetto Davoli e a quest’ultimo quello di Epifanio che doveva essere Eduardo De Filippo). Se Willem Dafoe funziona nel ruolo principale anche grazie a una notevole somiglianza fisica, il doppiaggio di Fabrizio Gifuni è piuttosto straniante. Tra i personaggi secondari, la mamma Susanna che chiama il figlio ‘Pieruti’ alla friulana, incarnata da una sensibile Adriana Asti, ha una sua credibilità, mentre ci sembra un po’ macchiettistica la Laura Betti di Maria De Medeiros con inseparabile bocchino fumante.
La scena migliore è l’intervista interrotta concessa a Furio Colombo, l’unica in cui vibra l’urgenza artistica e politica di Pasolini.

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Party Girl, per l’over-cougar Angélique la festa non è mai finita

Non si dimentica facilmente, Angélique Litzenburger. Gattona sessantenne dallo sguardo alabastro, monili a pioggia un po’ tzigani, una nuvola turbinosa di capelli selvaggi, tanta voglia di vivere e altrettanta malinconia. In questo caso persona e personaggio principale collimano nella finzione aderente al documentario dell’insinuante “Party Girl”, diretto da un trio di giovani registi, Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis. La mamma di quest’ultimo è proprio Angélique, entraîneuse in disarmo di un locale notturno in Lorena, di cui si mette a scena la decisione (reale) di sposarsi a sessant’anni con un ex cliente. Più che la sceneggiatura un po’ inerte, soprattutto nel primo tempo, è proprio lo sguardo ibrido sull’over-cougar Angélique, riflesso della commistione fra realtà e doc, cinéma vérité ma non troppo, la maggior qualità del film, in particolare quando interagisce con i quattro figli (veri, gli altri personaggi sono interpretati da attori non professionisti). Da brividi la canzone omonima di Chinawoman nel finale. Caméra d’Or e Prix d’Ensemble al Certain Regard di Cannes.

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Posh: belli, snob e dannatamente ricchi nel club oxfordiano

Tratto da una pièce teatrale di gran successo in Inghilterra, scritta da Laura Wade che l’ha trasformata in sceneggiatura cinematografica, “Posh” della danese Lone Scherfig racconta di un gruppo di dieci studenti ricchissimi, viziati e arroganti, riunitisi nel club oxfordiano esclusivo ‘Riot’. Una lunga cena, in cui emergeranno i loro soprusi snob, sfocerà in violenza incontrollabile.
Nell’originale era rispettata l’unità di luogo, tempo e azione proprio della scena madre del convivio.
Il cast sfodera un decalogo di giovani promesse bellocce e maliziose, dal tutto-fossette Sam Claflin, visto in “Hunger Games”, al figlio di Jeremy Irons, Maximilian detto Max, il cui personaggio Miles diventa oggetto del desiderio per gli occhioni sgranati di un membro del club segretamente gay, Hugo (l’attore australiano Sam Reid). Chi ama il look più androgino apprezzerà l’avvenenza tendente al femmineo di Douglas Booth che interpreta Harry.
Curiosità: una delle fonti d’ispirazione è stato il vero Bullingdon Club di cui faceva parte addirittura il premier Cameron.

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“Lucy”, l’action-videogioco di Besson con super-Scarlett e un insopportabile Morgan Freeman

Action fracassone in stile videogame firmato da Luc Besson, parte alla stregua di Nikita con la studentessa Lucy (Scarlett Johansson) costretta suo malgrado a far da corriere di una nuova droga sintetica impiantata direttamente nello stomaco. Ma la massa tossica entra in circolo e inizia a fornirle strani superpoteri che ottimizzano le sue capacità cerebrali (ma in realtà vanno ben oltre, poiché Lucy diventa una sorta di Mutante che sposta oggetti a distanza e cambia aspetto al solo pensiero). Poi il film prende una strana piega filosofico-deragliata in cui Lucy diventa metafora della conoscenza onnicomprensiva e assume un tono un po’ fanfarone e delirante con immagini spostate digitalmente come se fossero schermate di un iPad e liquidi nerastri alla Miyazaki che s’insinuano nei pc. Morgan Freeman nel ruolo del prof saggio che spara a raffica massime cosmogoniche è piuttosto insopportabile ma non preoccupatevi: la neomamma Scarlett Johansson si agita a dovere e soddisferà le ‘cinesigenze’ dei suoi innumerevoli fan.