COME (E SE) TI INVESTO SUL GAY… - coppia casa04 1 - Gay.it Archivio

COME (E SE) TI INVESTO SUL GAY…

E’ ancora vero che le grandi aziende in Italia hanno paura a fare campagne sui media omosex? Lo abbiamo chiesto al responsabile comunicazione di Ikea. Loro sì, che l’hanno fatto.

PISA – Se ci fosse un premio per la miglior azienda gay-friendly, lo vincerebbe con facilità. Ikea, il colosso svedese dell’arredamento, ha sempre dimostrato una grande attenzione verso il pubblico gay: immagini a tematica nei cataloghi, una grande presenza di clientela omosessuale e, infine, campagne su media gay come quella che ha campeggiato sulla home page di Gay.it alcuni mesi fa.
Ma non si diceva che le aziende in Italia non investono in media gay? E’ Ikea che è una mosca bianca o c’è qualcosa di diverso? Come sono i rapporti tra comunità omosessuale e mondo dell’impresa? Lo abbiamo chiesto a Valerio di Bussolo, che è responsabile della comunicazione per Ikea in Italia. Cioè colui che ha scelto di investire anche nel mondo dei media gay…
Quale riscontro avete avuto dalle vostre campagne pubblicitarie dirette a un pubblico gay?
A livello internazionale Ikea è stata tra i primi ad avere chiaro l’importanza di rivolgersi a un pubblico differenziato e a includere i gay tra i suoi target. In Italia abbiamo investito più sui media gay, in particolare su Gay.it, che in interventi diretti ai gay. Sul riscontro avuto da questi interventi è difficile avere dei dati. Certo, se uno va in un negozio Ikea ha la percezione immediata che i gay sono tra il nostro pubblico, ma non abbiamo riscontri statistici su quanto questo sia dovuto agli interventi pubblicitari o quanto faccia parte di una naturale frequentazione. La cosa che Ikea ha appreso è che i gay sono un pubblico che ha un certo peso, ed è in grado di farsi ascoltare. Quindi un target a cui prestare attenzione.
In base a cosa scegliete il target di riferimento delle campagne e i media su cui realizzarle?
Dipende dalle campagne. Se si tratta di campagne commerciali o di brand. Nel primo caso scegliamo dei media a larga diffusione. L’esempio classico è la campagna pubblicitaria sui saldi che viene svolta sui free-press. Chiaramente questa non è una strategia solo di Ikea, ma chiunque desideri far arrivare un messaggio a molte persone di varie categorie, sceglierebbe questo genere di mezzi. Se invece l’obiettivo è raggiungere uno zoccolo duro di persone che sono attente all’arredo, allora si cerca di preferire riviste specializzate. Inoltre negli ultimi anni Ikea ha sviluppato una nuova strategia legata a target identificati sui vari periodi della vita; abbiamo pensato a soluzioni arredative ideali per single, per giovani coppie, ma anche per quella nuova categoria che sono i senior, cioè i genitori di una certa età i cui figli sono andati a vivere per conto proprio e che si ritrovano ora con una casa più grande da arredare. Così abbiamo cercato di soddisfare varie esigenze legate a situazioni di vita diverse….
E’ in quest’ottica che si può fare rientrare l’attenzione verso il pubblico gay?
Non direi. Io non legherei i gay a esigenze abitative particolari. L’attenzione verso i gay è una costante nella storia di Ikea. Ma i clienti omosessuali non hanno esigenze diverse dagli altri target rispetto a quello di cui abbiamo parlato ora. E forse è anche bene così, perché sarebbe assurdo ghettizzare i gay secondo uno standard prefissato. Noi scegliamo di fare comunicazione su certi media perché consideriamo i gay un target importante, non perché abbiano esigenze particolari. Se ci sono dei media come Gay.it che possono veicolare la comunicazione verso questi target in maniera efficace e con qualità, noi li utilizziamo così come utilizziamo altri media per raggiungere altri target.
Veniamo alla situazione italiana. Nel nostro paese, molte aziende credono sia controproducente investire nel mercato gay. Perché?
Questo bisognerebbe chiederlo a loro. Di certo Ikea non ha mai avuto problemi per aver investito presso il pubblico gay. Io in ogni caso ho l’impressione che questa convinzione ci fosse in passato. Ora le cose stanno cambiando. Basta vedere la presenza del target gay in varie situazioni, a partire dalla tv: ci sono personaggi gay nelle fiction, ma anche nei programmi non di fiction. Magari non è necessario arrivare all’eccesso in cui sembra che l’omosessuale debba farsi portatore di valori speciali presso la comunità etero. Inoltre vedo che anche nell’ambiente imprenditoriale sta crescendo una nuova classe commerciale: chi ha in mano le redini della comunicazione oggi ha la mente più aperta di quelli che l’avevano dieci anni fa.
Eppure si è creata la situazione per cui alcune imprese gay lamentano la difficoltà di trovare aziende disposte a fare investimenti pubblicitari in contesti omosex, e allo stesso tempo le aziende affermano di non poter investire in media di qualità discutibile…
Questa è una contestazione più matura. La cosa importante è che il media faccia il suo lavoro bene, cioè faccia informazione con qualità. Poi ci sono le aziende che dimostrano maggiore disponibilità e altre che ne dimostrano meno, ma lo spazio all’interno dei budget aziendali per la comunicazione per investire nei media gay, io credo che ci sarebbe. L’importante è che si trovino contesti di qualità. E’ qui che si connota il discorso della marca. Noi abbiamo cercato di far vivere il nostro marchio in contesti che avessero una certa sintonia con Ikea. In questo senso il nostro banner nella home page di Gay.it conviveva con contenuti adatti, e non abbiamo avuto alcun problema a investire in questo.
Sono felice che tu sia ottimista rispetto alla possibilità che in Italia i mezzi di comunicazione gay trovino investitori pubblicitari. Ma come spieghi allora il caso di Gay.tv? E il fatto che in Italia non ci siano riviste gay come Zero in Spagna o Tetu in Francia…
Gay.tv, quando ha cominciato le trasmissioni era un bella tv: aveva una proposta innovativa e non solo connotata rispetto al pubblico gay. Io avevo riscontri da più parti che la tv era di gradimento. Se fossi stato un investitore interessato (ma Ikea ha scelto di non fare pubblicità televisiva in Italia, su nessuna emittente) avrei valutato la possibilità di fare una campagna. Non so quale sia stato il problema in quel caso, forse avrebbero dovuto cominciare a raccogliere pubblicità prima…
E per le riviste?
Questo è un settore che non conosco, non posso darti risposte. In generale credo che l’essenziale è che ci sia la qualità: occorre qualcuno che creda in un progetto innovativo, che riunisca intorno a sé i migliori grafici e redattori di qualità, e così credo che anche in Italia le possibilità ci siano. In fine dei conti il nostro paese è all’avanguardia per alcune soluzioni di publishing che sono state ideate negli anni scorsi. Penso agli inserti di Repubblica che hanno fatto scuola in tutta Europa. Insomma penso che le risorse umane per creare un prodotto in grado di attirare gli investitori ci siano. Basta che un imprenditore motivato decida di raccogliere intorno a un progetto valido le persone giuste.