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Dei bambini, dei Pride e della dignità della donna

Il doppiopesismo della discriminazione. E il tentativo di imporre un (falso) primato.

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Al grido di “E I BAMBINI? CHI CI PENSA AI BAMBINI?!” negli ultimi giorni si è scatenato una sorta di fuoco incrociato da più fronti, ispirato (si fa per dire) da foto recenti scattate nelle tante piazze dell’Onda Pride o giunte da oltreoceano. E senza volere rispondere a chi ancora prova a riproporre l’indecente parallelismo tra omosessualità e pedofilia (smentito già piuttosto bene dai dati degli abusi sui minori e dagli studi scientifici), vale la pena soffermarsi sulle altre argomentazioni usate dai detrattori della genitorialità delle persone gay e lesbiche. Perché accantonata momentaneamente l’ascia di guerra sul come le persone vanno vestite ai Pride (argomento sul quale certe fette della comunità sono già abbastanza brave a darsi la zappa sui piedi da sole), il fronte caldo ora sono i bambini.
La gamma dei dogmi sciorinati è vasta quanto le analisi che alcuni hanno sentito di fare delle espressioni delle persone ritratte nelle foto circolate sul web, guidati solo dai propri pregiudizi.

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Una coppia di madri con la figlia, ritratte mentre si scambiano un bacio durante il Pride di Catania, ha fatto ringhiare qualcuno contro “l’ostentazione”, mentre gli stessi hanno ritenuto che la bambina si fosse voltata verso le madri “in cerca di attenzioni” di cui, evidentemente, sarebbe carente. Siamo pronti a scommettere che se invece di due donne fossero stati un uomo e una donna, le stesse persone avrebbero commentato quella foto come un tenero gesto di affetto tra due persone che si amano e lo sguardo della bambina come ammirazione verso l’Amore, quello vero, l’unico consentito e legittimo.
Cosa cambia nel caso di una coppia di due donne, sfugge alla logica, ma risponde ad un impianto di pensiero alla cui base giace l’idea di essere portatori di un presunto primato, ad esclusione di altri. Si chiama discriminazione.

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Il Pride dei bambini, organizzato a Palermo, così come le immagini di bambini che hanno partecipato alle tante parate italiane, hanno fatto tuonare contro la strumentalizzazione dei più piccoli per chissà quali oscuri e torbidi scopi. Quei bambini, va precisato, non erano certo trovatelli raccattati per la strada messi lì con obbiettivi propagandistici. Erano lì con i loro genitori che li hanno portati con sé perfettamente consapevoli del luogo e delle ragioni.
Allora bisogna intendersi. O si decide che i bambini, a qualsiasi manifestazione politica e di rivendicazione partecipino, sono a rischio strumentalizzazione, e in tal caso non vorremmo vederne neanche ai Family Day et similia, oppure si stabilisce, come sarebbe sano fare, che ogni genitore decide in base a quali principi educare i propri figli, dove portarli e quali valori insegnare loro. Perché che vi piaccia o no, quei bambini sono figli di genitori omosessuali e eterosessuali i quali pensano che sia meglio insegnare loro il rispetto e l’inclusione. Altrimenti, spiegateci in base a quale presupposto in alcune manifestazioni i bambini sono simbolo di amore e innocenza, mentre in altre sono vittime inconsapevoli. E’ un presupposto solo e si chiama discriminazione.

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La foto dei due neo papà canadesi, felici fino alle lacrime per il loro figlio appena nato, poi, ha permesso ad alcuni di dilungarsi in dissertazioni sulla “manipolazione della vita”, sull'”egoismo” e anche (immancabile) sulla “dignità della donna”.
Anche qui, sarebbe il caso di intendersi sul significato delle parole. Quel bambino, come tutti quelli nati come lui, probabilmente non sarebbe venuto al mondo se i suoi due papà non l’avessero desiderato fortemente e con amore. A quale valore della vita si ispira chi li condanna? Perché va ricordato che sono gli stessi che condannano l’interruzione volontaria di gravidanza e la contraccezione. Una vita è sacra solo se concepita secondo i dettami di Sacra Romana Chiesa, o ha valore in ogni caso? Bisognerà che ci si decida su questo punto, altrimenti, scusate se ci ripetiamo, è discriminazione. E perché due padri o due madri che desiderano un figlio sono solo “egoisti” e, per principio, non lo sono due genitori eterosessuali? Perché una madre affetta da una grave malattia che non le lascia scampo, che decide di mettere al mondo un figlio (nato, quindi, già orfano) viene esaltata come una “madre coraggio” e non tacciata di egoismo? E a scanso di equivoci, non c’è alcun giudizio sottinteso nei confronti della madre in questione.

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E agli strenui difensori della “dignità della donna che affitta il suo utero”, oltre a ricordare che nessuno costringe le donne in questione a farlo e che ognuna dovrebbe essere libera di decidere del proprio corpo, bisognerebbe ricordare che se del rispetto della dignità della donna si preoccupano sinceramente, dovrebbero porsi lo stesso problema quando pensano che sia giusto imporre la prosecuzione di una gravidanza non desiderata e non consapevole o magari, semplicemente, destinata mettere al mondo un bambino non amato e non voluto.
Ancora una volta, la definizione che ci viene in mente per questo doppiopesismo è una: discriminazione. Per favore, infine, evitate di attribuire alla smorfia di dolore della donna che ha appena partorito il bambino chissà quale sentimento legato al fatto che non sarà lei a crescerlo. L’avete mai vista una donna qualche secondo dopo il parto? No, perché molto, molto raramente non si vede un’espressione palesemente dolorante: partorire è doloroso, fisicamente doloroso. Fine delle speculazioni. Eppure sono spesso donne che hanno partorito a fare queste considerazioni.

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Il complesso di questi attacchi alla gioia altrui, che, ribadiamo, altro non è che discriminazione, genera mostri, veri e propri mostri. E’ bene che i crociati della “famiglia naturale” se ne facciano una ragione: l’odio, la violenza, la discriminazione sono figli naturali, loro sì, dei pregiudizi. E smettetela di paventare chissà quali rischi per le famiglie eterosessuali, nel caso in cui matrimoni e adozioni venissero riconosciuti anche per le coppie gay. Contrariamente a quanto vorrebbero fare alcuni dei più accaniti detrattori dei diritti civili, le persone lgbt non hanno tra i loro obiettivi la “conversione” di tutti gli eterosessuali all’omosessualità, nessuna “terapia riparativa” è mai stata pensata per trasformare gli eterosessuali in gay e lesbiche, nessuna imposizione di un solo ed esclusivo modello di famiglia possibile è mai stata agognata dalla comunità lgbt e nessuno mai si è sognato di salire su un piedistallo per ergersi a detentore dell’unico stile di vita moralmente ed eticamente accettabile.
Fatevi le vostre vite, le vostre famiglie, i vostri progetti, ma lasciate che gli altri abbiano la stessa possibilità di scegliere per sé stessi. Senza discriminazioni.

di Caterina Coppola