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Due commedie al femminile contro i soliti cinepanettoni

Per sfuggire ai cinepacchi natalizi, ecco due riuscite commedie al femminile: “American Life” e “We Want Sex”, il ritorno del premio Oscar Sam Mendes e la rivolta delle operaie Ford nel ’68.

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Vacanza, sostantivo femminile. Come la sera, momento ideale per andare al cinema, soprattutto se si ha un po’ più di tempo grazie a ferie meritate. Se volete evitare le banalità ipertrash delle risatacce preconfezionate dei cinepanettoni, la prevedibilità delle commediacce all’italiana, i rischi azzardati di titoli a sorpresa tirati fuori dagli ultimi scarti di magazzino, vi consigliamo due film d’alta fattura che mettono al centro la donna: uno arriva dall’America e il secondo dalla Gran Bretagna, tutti e due rigorosamente d’autore senza sembrarlo.
Ecco "American Life", brillante commedia on the road solare e ottimista – il titolo originale è "Away We Go", ossia "Ce ne andiamo via" – dai dialoghi al fulmicotone, gran ritorno di Sam Mendes ("Era mio padre") che sembra essersi ripreso dalla separazione consensuale con Kate Winslet avvenuta a marzo: quasi in maniera speculare rispetto alla disillusione che frantumò in mille pezzi la solidità della famiglia ‘da sogno’ nel solido dramma queer "American Beauty", qui il regista Premio Oscar affida speranze e buonumore a una coppia di fidanzati piuttosto sconocchiata.

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Lui, Burt (John Krasinski) è un nerd trasandato con occhiali neri e un lavoro non meglio precisato che riguarda investimenti finanziari e si può fare al telefono; lei, Verona (Maya Rudolph) è incinta di sei mesi, aspetta una bambina, e per campare disegna a carboncino gli organi interni del corpo umano. Ma si amano alla follia. Peccato che i suoceri non abbiano nessuna intenzione di dar loro una mano con la nascitura in quanto hanno programmato di andarsene in Belgio e così Burt e Verona decidono di partire in tour per gli States per arrivare in Canada alla ricerca del luogo migliore dove mettere radici, tra parenti e conoscenti che si rivelano più fuori di testa di loro, facendoli fuggire a tempo di record. Ecco quindi la mamma ciarliera (Allison Janney, grandiosa) che ha una figlia dodicenne che crede lesbica perché è chiatta e si veste da maschiaccio, e viene umiliata in tutti i modi perché ha la chiappa che scappa’.

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Oppure l’ex amica in fase new age post hippy (Maggie Gyllenhaal sorella di Jake, strepitosa) col desiderio irrefrenabile di allattare anche i bambini altrui e un compagno dalle tensioni pansex solo per assecondare l’armonia universale, ovviamente, e un’avversione pericolosa per il passeggino in quanto consumistico oggetto ingombrante. Così, sempre in fuga verso quel nido che vorrebbero costruire senza impicci esterni, Burt e Verona cercano di scavare nelle incertezze del loro amore – lei non vuole sposarsi, lui ha paura di essere mollato – costruendo in realtà i veri pilastri di una vita in comune fondata su un sentimento sincero e profondo, in grado di smussare incertezze e divergenze caratteriali.
Una bella ventata di positività e un messaggio costruttivo, finalmente, senza melensaggini o ovvietà da gag in stile happy family (Burt e Verona sono scoordinati e pasticcioni ma umani e credibili) con un occhio di riguardo per la forza tutta al femminile – è Verona il vero ‘timone’ della coppia e partorirà una bambina – con un senso del paesaggio non stereotipato da grande regista (che meraviglia il Colorado, Miami, il Canada). E finalmente uno sguardo affettuoso alle famiglie ‘diverse’ che Mendes non condanna né colpevolizza ma sembra accarezzare nella consapevolezza, un po’ alleniana, in base alla quale, dopotutto, ‘basta che funzioni’.

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Spostiamoci ora nell’Inghilterra del 1968, a Dagenham, nella periferia orientale londinese, dove 187 operaie della Ford scioperarono per la prima volta, capeggiate dalla volitiva Rita O’ Grady (il personaggio è però fittizio) e riuscirono ad avere udienza presso un Segretario di Stato donna ottenendo aumenti di salario e parità di trattamenti. Ricostruisce questa vicenda fondativa della storia sindacale inglese una vivace commedia diretta con sobrietà da Nigel Cole, "We Want Sex", forse un po’ troppo ammorbidita e conciliante (non siamo dalle parti di Ken Loach né di Mike Leigh) ma con un piglio simpatico e sinceramente partecipe sullo stile dei precedenti "Calendar Girls" e "L’erba di Grace".
In realtà il titolo è piuttosto fuorviante, visto che di sesso c’è solo una scena in auto che ricorda la sveltina sul divano in "American Beauty" poiché il "We Want Sex" si riferisce a uno striscione che srotolano le operaie su cui, però, non si legge l’ultima parola: "Equality".

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Da sottolineare l’interpretazione tutta nervi e adrenalina della convincente Sally Hawkins ("Happy Go Lucky") che mette quasi in ombra il virtuosismo di Bob Hoskins. Rivedere poi l’indimenticabile Miranda Richardson del capolavoro trans "La moglie del soldato" nel ruolo non facile del Segretario di Stato Barbara Castle è davvero una gioia per gli occhi e il cuore. Insomma, ancora una volta è una questione di donne, e in questo periodo il potere, almeno al cinema, è tutto affar loro.