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E il coro gay fa le prove in parrocchia

Komos, il coro gay bolognese di 25 elementi, farà le proprie prove nei locali della chiesa di San Bartolomeo, dopo alcuni dissapori con l’Arcigay. Il parroco don Nildo: “Se cantano, che male fanno?”

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Hanno trovato ospitalità nella chiesa di San Bartolomeo della Beverara, il cui parroco, Don Nildo Pirani non ha avuto niente da obiettare alla richiesta del coro gay bolognese Komos di usare i locali della chiesa per le loro prove. Don Nildo ha spiegato con molta naturalezza il motivo della sua scelta: "Non è in gioco la condivisione o meno dei problemi dei gay – ha dichiarato il sacerdote -, il punto è la concessione di una sala prove per cantare. Se cantano, che male fanno?". E aggiunge: "Sarebbe una preclusione ideologica dire di no".
Ma c’è di più. Dopo la pausa estiva il coro ha anche dato la sua disponibilità ad esibirsi durante alcune funzioni liturgiche. "Abbiamo già un nostro coro – ha risposto don Nildo – basta che si mettano d’accordo fra loro". 

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Ma perché un coro gay, a Bologna, si ritrova a fare le prove nella sala di una parrocchia? Da novembre scorso, in realtà, i 25 musicisti di Komos si riunivano nei locali del Cassero. Ma i locali non sono proprio adatti, dal punto di vista acustico, alle prove di coro. E poi c’è quel brutto episodio che risale all’ultimo Pride nazionale, quello di Genova. Un episodio spiacevole per il quale Paolo Montanari, direttore e fondatore del coro ha chiesto, invano delle scuse direttamente al presidente nazionale di Arcigay Aurelio Mancuso.  A quanto racconta lo stesso Montanari sul blog del coro, infatti, i musicisti erano stati chiamati ad esibirsi al Pride Village alcuni di loro chiedendo un rimborso spese minimo, altri a titolo assolutamente gratutio. Avevano chiesto però di trovare sul luogo del concerto l’attrezzatura minima per un’esibizione dignitosa. Atrezzatura che non solo non hanno trovato al loro arrivo a Genova, ma che non era mai stata ordinata alla ditta responsabile del service e che non è mai arrivata. Il concerto, dunque, non c’è stato, con grande disappunto di tutti i coristi. O almeno non al Porto Antico. 

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"Sto ancora attendendo che qualcuno mi chieda scusa – scrive Montanari -per quanto è accaduto (o meglio, non è accaduto). E penso che attenderò invano, dato che nessuno all’interno di Arcigay trova che ci sia nulla di grave nell’umiliare in questo modo un gruppo di musicisti volontari, tra i quali anche diversi professionisti". E dato che ormai a Genova erano arrivati, i 25 si sono spostati sul sagrato della chiesa di San Lorenzo, improvvisando lì un concerto, come si dice, ‘a cappella’, ovvero senza strumenti. Pare che il pubblico, altrettanto improvvisato, abbia gradito molto.
Quella mancata esibizione al Village, però, è anche alla base di un aspro scontro tra Monatanari e Emiliano Zaino, presidente di Arcigay Bologna. Una questione di rimborsi promessi e non mantenuti, per essere precisi. 

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"Il mancato concerto di Genova è solo il fatto più eclatante di una serie di ostacoli derivanti da un misto di incompetenza e ostilità  – conclude Montanari – che io, i coristi e i collaboratori esterni del Komos abbiamo dovuto subire da Arcigay in questi mesi, che elencherò altrove se sarà ritenuto opportuno." Insomma, se la chiesa è disponibile, se il parroco non preclude neanche la possibilità di esibirsi durante una funzione, se la Curia non mette bocca perché la gestione degli spazi parrocchiali rientra nell’autonomia di cui godono i parroci, perché non andare a fare le prove in chiesa, piuttosto che dove non ci si sente graditi?