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Fedeli fino a quando?

Ogni coppia è libera di trasformare col tempo la propria intimità, di aprire i propri orizzonti ma anche di non farlo. Basterebbe avere le idee chiare.

La fortuna di avere una vita incasinata è che conosci un sacco di gente e puoi scambiare opinioni con chi ha idee diverse dalla tua: sulla vita, sull’amore, sul sesso. In particolare, frequentando ragazzi più giovani, capita talvolta di ritrovarsi a fare i conti con quello che si era e che non si è più, coi propri ideali, coi sogni, con le illusioni. Talvolta.

Proprio di recente ho affrontato con due ragazzi poco più che ventenni un argomento che riguardava da vicino la mia vita privata: il classico dibattito su monogamia, coppie aperte e tradimenti di nascosto. Un dibattito che non avrà mai una soluzione definitiva per il semplice motivo che non ne può esistere una, visto che ogni coppia è formata da due persone diverse (diverse tra loro ma soprattutto diverse da tutte le altre coppie) e possiede regole proprie, un proprio statuto.

Tutto funziona in genere quando l’amore prevale sulla paura e la conoscenza di sé si accompagna alla volontà di scoprire realmente chi abbiamo al nostro fianco senza costringerlo a comportamenti che non gli appartengono. Venirsi incontro, accettare dei compromessi, condividere esperienze è quindi un principio fondamentale, anche se non intendo stabilire la superiorità delle coppie aperte su quelle chiuse (o viceversa), ma solo ribadire che ogni coppia fa storia a sé.

Il sesso è tanto più prezioso quanto più esclusivo, ma può ugualmente costituire un piacevole diversivo esterno, da vivere insieme o separatamente, per scacciare i fantasmi, liberare le fantasie e lasciare l’intimità incondizionata da frustrazioni o desideri inespressi. In soldoni: meglio fare sesso con altri se questo ci permette di farlo poi con il nostro fidanzato dedicando a lui ogni pensiero, ogni minima sensazione. È una mia opinione, si intende, ma nata dal fatto di essermi sentito meno in colpa tradendo il mio partner che non rimanendogli fedele ma pensando a qualcun altro proprio nei momenti più intimi. Una fedeltà francamente discutibile.
 
Ma torniamo ai giovani cui accennavo in precedenza. Il primo, un amante occasionale che non ha disdegnato di incontrarmi e nemmeno ha disapprovato il mio status di coppia aperta, mi ha detto che lui però non avrebbe accettato una situazione simile: al limite avrebbe preferito essere tradito di nascosto, salvo poi, in caso l’avesse scoperto, lasciare di colpo il fidanzato.

Sorvolo su quelle che rimangono mere opinioni, visto che lui un fidanzato non ce l’ha e quindi non può dettare regole a uno che non esiste e nemmeno a se stesso (ognuno di noi, quando è innamorato, è pronto ad accettare molto più di quanto possa credere). Ritengo però che accettare il tradimento in linea di principio ma con l’avvertenza di non doversene accorgere in pratica è quantomeno contraddittorio. Come una banca che dicesse ai rapinatori di fare quello che vogliono ma senza dare nell’occhio.

L’altro giovanotto, ultimo arrivato tra i miei coinquilini (attualmente siamo in sette: quattro gay, un etero e due ragazze, ma la situazione è in continua trasformazione), mi ha posto invece una questione ancora più curiosa. Ossia, essendo lui stesso consapevole (pur non avendo avuto finora esperienze durature) che la libido tende a scendere col tempo, mi ha chiesto come mai io e il mio fidanzato non abbiamo aspettato almeno sei mesi prima di aprire i nostri orizzonti.

La mia risposta alla domanda è stata che io mi conosco bene, che ho avuto già parecchie storie e che, sfortunatamente, in tutte queste, uno dei due membri della coppia ero sempre io. Ma poi, innalzandomi dal piano personale ad uno più generale, ho riflettuto sulla facilità con cui le persone si mettono insieme e su quanto sia difficile resistere insieme nei periodi difficili.

Se infatti la proposta dei sei mesi di attesa per lui poteva significare più o meno: "Scoprite prima tutto quello che c’è da scoprire nell’altro e, qualora dovesse subentrare una fase di stanca, solo allora prendete delle contromisure", a me suonava invece: "Fin tanto che l’altro è un emerito sconosciuto (o poco più), dedicati interamente a lui. Quando poi è divenuto la persona con cui condividi ogni tuo giorno ed alla quale ti unisce un affetto sincero, dedicati pure ad esplorare qualcun altro". Lo so, a volte ragiono per iperboli.

Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.

Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui

di Flavio Mazzini