"Felice chi è diverso", la forza della memoria nel piccolo capolavoro - amelio felice diverso 1 - Gay.it Archivio

“Felice chi è diverso”, la forza della memoria nel piccolo capolavoro

Si candida al Teddy Award il potente documentario italiano sulla vita di gay anziani, tra discriminazioni e sofferenze. Ma attenzione: l’unico rivale è Der Kreis di Stefan Haupt.

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Lacrime e sorrisi, che emozione. È uno dei migliori documentari gay mai realizzati in Italia, Felice chi è diverso di Gianni Amelio, toccante viaggio nell’Italia “capovolta” dal fascismo a oggi, in cui essere gay significa scherno, stigma sociale, vita clandestina, una dichiarazione intrinseca di marginalità. Amelio intervista vari uomini di mezza età in tutta Italia, dal Piemonte a Napoli, per dare vita a una tessitura di vita con immagini d’intensa forza espressiva non tanto su un tema di recente tendenza nel cinema queer, ovvero l’esplorazione documentaria della cosiddetta silver generation (pensiamo a Silent Pioneers: Gay and Lesbian Elders del quartetto SAGE oppure a 88 Years in the Closet di Peter Shafron), quanto piuttosto l’averlo fatto nel nostro Paese dando rilevanza non tanto alla ricerca storica, bensì alla potenza emotiva delle singole vicende.

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Così non ci si può non emozionare davanti alla storia dell’anziano piemontese Giorgio Bongiovanni che ripercorre la propria esistenza e sintetizza in maniera chiara quanto il problema dell’accettazione del diverso sia in Italia prima una questione culturale, sociale, e poi legislativa; all’intensa storia d’amore di Roberto che continua tutt’oggi, forse “salvata” nel tempo dalla consapevolezza precoce della propria identità sessuale che ha evitato “tentazioni etero” a entrambi nel corso di interi decenni; all’umanissima frustrazione della trans che non prova più soddisfazione sessuale. Il regista inserisce sapientemente inediti cine-documenti d’epoca, servizi pruriginosi, foto e articoli sulla morte di Pasolini che cercarono di infangarne la memoria, senza mai cercare l’effetto o la commiserazione, ma ponendo allo spettatore tutta la ricchezza, a volte drammatica e altre commovente, della tragicità dell’amore negato.
Felice chi è diverso, essendo egli normale ci dice ancora oggi Sandro Penna, ma la diversità oggi è forse non avere la giusta amicizia su Facebook, non avere un profilo Grind’r, quindi non avere accesso alla rete che per molti gay della nuova generazione rappresenta la vera rivoluzione culturale. Ma quando si assiste alla lettura del proprio diario da parte di un ragazzo schizofrenico, con molti elettroshock alle spalle, non si può non restare turbati.

Con la semplicità potente e appassionata dell’emozione cristallina, Amelio ci regala il più forte contender al Teddy Award ma attenzione: il nemico numero si chiama Der Kreis (“Il cerchio”) ed è diretto da Stefan Haupt. È un sofisticato dramma svizzero che ricostruisce la vera vicenda del club gay del titolo attraverso la storia vera di una coppia di uomini di Zurigo, il professore di francese Ernst Ostertag e il cabarettista Röbi Rapp, che facevano parte di un esclusivo circolo per omosessuali i cui membri furono perseguitati dal nazismo. Inserendo immagini documentaristiche che ne fanno un ibrido fra fiction e documentario (sarebbe perfetto premiare sia Amelio che Il Cerchio nelle due diverse categorie), Haupt ricostruisce l’emozionante storia mettendo in evidenza i codici utilizzati dai membri del Cerchio per sopravvivere: come è uso in certi ambienti aristocratici in cui le coppie vengono nominate con un singolo nome (per fare un esempio LEOnardo e SimoNE, facendo una crasi, diventano LEONE), i componenti del club utilizzano numeri, tessere, indizi per sfuggire all’identificazione soprattutto quando i loro party esclusivi con tanto di statue viventi vengono scoperti dalla Polizia. Il segreto è in una chiave di casa. I bravi attori Sven Schelker e Matthias Hungerbuehler (il primo ci ha detto che si è ispirato anche alla sua vita, il secondo si è concentrato nella prepazione dei personaggi soprattutto sulla coppia reale) sono efficaci e ben diretti. Una straordinaria Marianne Saegebrecht interpreta la mamma di Röbi: ci si commuove. Quando sul palco, dopo l’applaudita presentazione, compare l’intero cast e i due veri Ernst e Röbi, non è possibile esimersi dalla standing ovation.