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Film lgbt della prossima stagione 3: Al di là delle colline

Esce a novembre l’appassionante dramma lesbo di Cristian Mungiu premiato a Cannes e ambientato in un monastero di campagna. Rivelazione assoluta le protagoniste Cristina Flutur e Cosmina Stratan.

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È un coinvolgente film lesbico d’autore rumeno e a Cannes si è aggiudicato meritoriamente il premio per la migliore sceneggiatura e le migliori interpretazioni femminili, le rivelazioni Cristina Flutur e Cosmina Stratan. La regia è nelle salde mani del talentuoso Cristian Mungiu che cinque anni fa vinse a sorpresa la Palma d’Oro con l’altrettanto lucido e rigoroso "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni".
Tratto da una storia vera accaduta nel 2005 e ricostruita in due romanzi di Tatiana Nicolescu Bran, racconta l’incontro di due ragazze innamoratesi in un orfanotrofio ma poi separate dai casi della vita: Alina si è trasferita in Germania alla ricerca di un lavoro e Voichita ha scoperto la vocazione religiosa entrando in un remoto e spartano monastero in campagna.

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Quando si ritrovano in una stazione ferroviaria (l’incipit di forte impatto emotivo che dimostra le travolgenti capacità interpretative delle protagoniste), Alina cerca di convincere Voichita a seguirla in Germania dove poter vivere finalmente insieme ma sarà quest’ultima a portare con sé nel convento l’amata. Dove però viene vista come un elemento di disturbo in particolare dal padre ortodosso, non solo per il rapporto troppo stretto con Voichita secondo le giovani suore, ma soprattutto perché non prega, non essendo religiosa. È il prete stesso a imporre un aut-aut a Voichita: se uscirà dal convento con Alina per prendere il battello che le potrebbe portare verso una nuova vita insieme, non potrà più rientrarvi.

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Lentamente la vittima sacrificale Alina viene ostracizzata dalla piccola comunità, esclusa dalle mansioni quotidiane che devono sopperire alla mancanza di acqua corrente ed elettricità, suggestionata ossessivamente dall’elenco dei 464 modi di peccare secondo la Chiesa Ortodossa.
Eppure, la sua caparbietà amorosa le impedisce di rassegnarsi, a costo di intraprendere un lungo percorso verso l’alienazione nevrotica che la induce a comportamenti aggressivi e autolesionisti. Ma si può competere in amore nientemeno che con Dio? E a quale prezzo?
Se all’apparenza si presenta come un ostico film d’essai per cinefili accaniti, in realtà la bravura del regista trascina subito lo spettatore nel cuore della vicenda con una serie di sofisticati piani sequenza assai calibrati che rende sopportabile la durata del film (certo, due ore e mezza in un convento, un ospedale e qualche altra location possono sembrare troppe, e sicuramente qualche sforbiciata, soprattutto nella parte finale sarebbe stata gradita, ma il livello dell’opera nel complesso merita quel quid di attenzione in più da parte di chi osserva).

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Ed è piuttosto rivoluzionario che, pur trattando il tema dell’omosessualità, la pietra dello scandalo non stia tanto nel fatto che si tratta di amore tra due donne quanto piuttosto che, trattandosi una passione terrena, si contrapponga necessariamente alla presunta idealità pura di quella divina, rafforzando così implicitamente la non distinzione tra amore etero e gay.
L’intensità del rapporto tra Alina e Voichita, prescindendo da qualsiasi accenno carnale che non siano abbracci totalizzanti o innocui massaggi alla schiena, assume così una dimensione fortemente spirituale mai vista in un film lesbico e ne accentua paradossalmente la forza, privandola di ogni istanza ‘militante’ per contrapporre la rigidità dogmatica delle leggi divine, reinterpretate dalle religiose, alla forza dirompente di un amore naturale destinato a soccombere proprio in nome dell’assolutezza del legame con Dio: “Le persone vanno e vengono, Dio sarà sempre con te” ricorda Voichita quando Alina la implora di scappare con lei.
Dovrebbe uscire a novembre distribuito dalla BIM.
Da vedere.