«Creo la realtà che voglio, quella che piace a me. Ho sempre odiato la realtà: ogni volta c’è qualcosa che non va». Sono parole di Erwin Olaf, fotografo olandese del ’59, considerato oggi uno tra gli artisti più innovativi e particolari nel panorama internazionale.
Ed è un messaggio che ben emerge dalle sue fotografie, spesso raggruppate in serie ispirate ad un unico tema portante. Come ad esempio Fashion victim: «Ho sempre cercato di fare dell’ironia sulla bellezza per cercare di offrire una nuova prospettiva sull’intera stupida, ipervalutata industria della moda». Qui però i riferimenti alla moda sono presenti soltanto sulle buste delle griffe con cui i soggetti ritratti, maschili e femminili, sono incappucciati: per il resto essi appaiono completamente (meglio dire sfacciatamente) nudi, quali semplici oggetti sessuali che, secondo il messaggio del fotografo, richiamano e deridono l’esasperato utilizzo dell’erotismo nelle campagne pubblicitarie.
Ed ecco altri comuni denominatori dei lavori di Olaf: da un lato il nudo impudente, che in un certo senso prende in giro persino la pornografia (da notare gli stessi autoritratti di Olaf) e dall’altro lo humor, strumento essenziale di cui si serve per dissacrare la realtà, per metterne in mostra quegli aspetti ridicoli che, come dice lui stesso, non vanno. Ha lo stesso intento ridicolizzante, ad esempio, la serie Mature che passando in rassegna foto di donne over 65 in pose provocanti e con nomi da top model, vuol far riflettere sui canoni di bellezza e sensualità femminile proposti dai media e dalla cultura contemporanei.
Ma Olaf è influenzato anche dall’attualità e dalla cronaca; tant’è che la serie Paradise The Club, che ha per protagonisti diabolici pagliacci in preda a turbinii di violenza e caos nei sotterranei di una discoteca, sembra sia ispirata al cosiddetto caso del clown, un episodio accaduto in Olanda alla fine degli anni ’80 in un villaggio nel nord del paese, secondo cui alcuni bambini della zona sostennero di essere stati molestati da un clown (anche se mai fu stabilito se si fosse effettivamente trattato di un caso di abuso né fu trovato alcun colpevole). In Paradise, inoltre, c’è un chiaro riferimento al Ratto di Ippodamia di Rubens che indica un’ulteriore influenza di Olaf: la storia dell’arte, a cui egli spesso ricorre nel cercare spunti per rappresentare le proprie scene.
Chi non ha mai visto poi la Lady Diana insanguinata dallo stemma della Mercedes conficcato nel suo braccio? Olaf la intitola semplicemente Di e la inserisce nella serie Royal Blood, insieme alla Principessa Sissy, a Maria Antonietta e ad altri nobili che nella storia hanno visto finire la propria vita in vicende preferibilmente tragiche, rivestite da una patina di mistero e culto: tutto ciò a puntare il dito contro la sete di gossip dei giornali e dell’opinione pubblica.
Dalle immagini di Olaf si sono volute far rappresentare nel tempo aziende come Nokia, BMW, Virgin e molte altre. Inoltre all’attivo dell’artista non mancano libri, mostre e riconoscimenti: del 2004 la sua partecipazione a Gender Bender, festival internazionale che presenta i nuovi immaginari prodotti dalla cultura contemporanea e legati alle rappresentazioni del corpo, delle identità di genere e di orientamento sessuale (che viene promosso da Il Cassero, gay lesbian center di Bologna). Ed in quanto a riconoscimenti, tra i più importanti finora ricevuti vi sono i due Leoni d’Argento vinti a Cannes nel 1998 e nel 2001 rispettivamente per la realizzazione di campagne celebri quali quella per Diesel (ricordate le nonna che tasta il vecchio addomermentato?) e Heineken.
Ultimamente è stato scelto dalla Lavazza per creare le immagini dell’omonimo calendario per l’anno 2005, che certo non è il Pirelli: ma c’è chi scommetterebbe che per arrivare prima o poi anche a quello si sia sulla buona strada.
in seconda pagina: Bruce WeberE’ invece americano del ’46 Bruce Weber, che ha una lunga carriera alle spalle, comprendente, oltre alla fotografia, anche film, libri e mostre.
Nasce come fotografo di moda, ma si è sempre distinto dai suoi colleghi patinati: «Ho cercato di tracciare col tempo il mio viaggio nel mondo della moda ricercando semplicemente la bellezza» e lo fa con una naturalità unica, che non necessita di altro; sembra prediligerla in ogni ambiente che ritrae, dalle spiagge dei surfisti agli spazi di aperta campagna, realizzando fotografie pervase da uno spirito di vivacità e curiosità quasi infantili.
Basti pensare che «lanciare qualche bell’indumento ad un gruppo di amici e vivere un’esperienza divertente» è l’idea che spesso Weber ha della realizzazione di un fashion shoot e lo si nota anche dall’atmosfera di familiarità che caratterizza molti dei suoi lavori. Spesso utilizza il bianco e nero, che ancora di più dà l’idea di una vecchia e cara foto di famiglia; altre volte esprimenti bizzarri come cappelli e boa indossati da ignari cani o capi d’alta moda elegantemente portati da una drag queen.
Anche laddove il sesso è il tema centrale, Weber lo affronta con spontaneità e semplicità: persino nelle immagini a sfondo omoerotico, molto ricorrenti fra i suoi lavori, egli utilizza delicatezza e genuinità uniche, ma estremamente coinvolgenti. Hanno destato scalpore, ma al tempo stesso anche molto interesse e fascino, le sue campagne per Calvin Klein durante gli anni ’90 (protagonista anche il bel modello Marcus Schenkenberg che qualche anno dopo veniva ripescato da Quelli che il Calcio).
Ma in fatto di campagne Bruce Weber la sa lunga e il suo stile inconfondibile ha firmato, tra le altre, anche quelle per Ralph Lauren e Abercrombie&Fitch, popolandone le pubblicità di bei ragazzi, giocatori di rugby e frammenti di una realtà in tipico AmericanStyle, pur quasi incosciamente popolata da riferimenti omoerotici che hanno cominciato ad addentrarsi nella comunicazione di massa.
E’ costantemente richiesto dalla riviste di moda più importanti, tra cui il nostro autorevole Vogue Italia ma anche W, Vogue UK, GQ, Visionaire. Ha anche girato diversi video musicali, come quelli per i Pet Shop Boys e Chris Isaak.
Come già accennato, per un fotografo riuscire ad essere scelto per realizzare il calendario Pirelli è uno dei più importanti traguardi: Weber ne ha realizzati addirittura due (1998 e 2003), con lavori che infatti hanno ulteriormente consacrato il talento e la celebrità di un artista che vuol rappresentare la realtà così com’è, senza ipocrisie o mascheramenti, semplicemente bella ed eterogenea (non soltanto etero).
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di Andrea Marrama