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FRANCIA, UN ANNO DI UNIONI CIVILI.

Bilancio positivo per il compleanno della legge francese sul Patto Civile di Solidarietà: il 70% della popolazione lo ritiene giusto, e sono state 25mila le coppie che ne hanno approfittato. E ora si guarda al futuro.

PARIGI – Cinquantamila candeline per il primo compleanno del Pacs. Sono state 25 mila le coppie ad approfittare della nuova legge francese sulle unioni civili approvata nell’ottobre del 1999 ed entrata in vigore esattamente un anno fa. Oggi di Patto Civile di Solidarietà nessuno ha più paura di parlare. La destra parlamentare che durante la discussione si è espressa duramente contro riconosce che un "istituto" come questo era necessario e soprattutto di aver perso credibilità tentando di mettere i pali fra le ruote al progetto di legge. Ora il Pacs è una realtà che coinvolge, in modo diretto o indiretto, centinaia di migliaia di persone in Francia. Coppie di gay e lesbiche, coppie etero che non si vogliono sposare, coppie di conviventi che non dividono lo stesso letto, francesi e stranieri, bianchi e neri, famiglie intelligenti che amano e sostengono i loro figli lanciati (come frecce, direbbe Rudyard Kipling) nell’avventura della vita.

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Ma c’è un ma. Il Pacs è un po’ vittima del suo successo. Tante coppie pacsate, infatti rappresentano altrettanti casi singolari. E quindi cominciano ad uscire allo scoperto varie riflessioni sui "limiti", i "difetti" del Patto. Intendiamoci: i pacsati sono (quasi tutti) contenti della loro scelta, ma riconoscono, e con loro anche politici ed associazioni gay, che il Pacs deve essere migliorato. Innanzitutto: si deve chiarire meglio la questione immigrazione. Quella che oggi è legge della Repubblica, dice infatti che il Pacs è "un elemento di apprezzamento per ottenere la carta di soggiorno per il partner straniero". Ma un elemento non basta, mentre invece il certificato di matrimonio sì. Ai gay (o alle altre coppie pacsate) si chiede invece di aver convissuto (nell’illegalità) per almeno tre anni in Francia. Insomma qualcosa non va. Poi c’è la questione fiscale. Perché due che si amano, e che vivono insieme, e che hanno firmato un Patto, prima di ottenere deduzioni fiscali certo inferiori ma simili a quelli delle coppie etero regolarmente sposate debbono attendere tre anni? E perché invece la perdita della "pensione di povertà" per i partner meno abbienti avviene subito? Anche qui qualcosa non va. E ancora, le associazioni accusano le istituzioni di non informare abbastanza chiaramente ad esempio sui termini di legge relativi alla successione (il Pacs non vale come testamento), o sui termini del regime giuridico dei beni. Alla fine cosa succede? Nessuno lo sa. Se la storia d’amore o di solidarietà finisce, uno dei due contraenti può recarsi, secondo la legge, in tribunale di Istanza (dove si firmano i Pacs) e dire al cancelliere: "E’ finita". E buonanotte. Il contratto è rotto. Sì, ma ad esempio nelle coppie etero ci possono essere dei figli di mezzo, e allora la legge dovrà ben occuparsene. E in quelle omo ci sarà una casa comprata insieme, la macchina da usare a giorni alterni, l’affidamento del cagnolino…

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Insomma il Pacs non è perfetto. Ma esiste. E i francesi lo sanno. Il 70 per cento lo trova addirittura una cosa giusta. Solo il 29 per cento della popolazione vi si oppone. L’81 per cento è cosciente che il Pacs ha migliorato la situazione degli omosessuali dal punto di vista materiale e dei loro diritti, il 55 per cento ritiene che aiuti a fare meglio accettare l’omosessualità dalla società, e il 56 per cento che la riflessione sul Pacs abbia fatto evolvere la mentalità ad esempio sulle questioni relative alla coppia, alla famiglia, alle scelte sessuali. Non siamo ancora ai livelli dell’Olanda: settanta francesi su cento non intendono aprire le adozioni alle coppie gay. Ma la rivoluzione è in atto: si cominciano a vedere grandi magazzini (BHV, il famoso Bazar de l’Hotel de Ville) in cui a fianco della famigerata "Lista di nozze" vi è anche la "Lista di Pacs".

di Giacomo Leso – da Parigi