Giornata di orgoglio. Anche Bisex - Gay.it Archivio

Giornata di orgoglio. Anche Bisex

Ci sono anche i bisex oggi a Bologna. Sebbene qualcuno sostenga che far sesso di nascosto coi maschi e fidanzarsi con le femmine sia “meno complicato”.

"Meno complicato". Il perché un ragazzo bisex possa preferire stare insieme ad una ragazza piuttosto che ad un altro ragazzo si può sintetizzare in due parole. A prescindere dalla Destra omofoba, dalla Sinistra pavida, dalle associazioni litigiose o dai rigori sbagliati. Almeno per un giovanotto che sembra uscito da un film di Cadinot e ancora non ha una direzione netta (e forse non la avrà mai). Me lo sono ritrovato in casa di recente e, visto che pochi secondi prima che arrivasse parlavo al telefono delle scappatelle gay di certi giovani etero, mi è sembrato divertente domandargli se anche lui aveva la ragazza. "No", mi ha risposto, "ci siamo lasciati una settimana fa".

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Non me lo aspettavo. Forse perché do per scontato che i ragazzi con cui faccio sesso al limite abbiano lasciato da una settimana il ragazzo. O perché quelli che sono sposati o fidanzati con una donna in genere tengono a precisarlo subito, prima ancora di dire il proprio nome, per (come si usa in questi casi) "evitare complicazioni".

Ho scelto di trattare questo argomento oggi perché ho riflettuto sul fatto che il Pride non è solamente gay o lesbo o trans, ma è anche la giornata dell’orgoglio bisessuale. So bene che il rischio di avvicinare la parola orgoglio a questioni di orientamento è già alto di suo e che spesso quando noi gay ne parliamo con gli etero (o con certi gay che adorano remare contro) dobbiamo armarci di infinita pazienza per ripercorrere le tappe di un cammino complesso, i difficili ma coraggiosi segni di una comune appartenenza.

Nel caso dei bisex la questione appare perfino più complessa, se si tiene conto dell’ostile malizia con cui vengono rimirati da chiunque abbia gusti più netti (o semplicemente prospettive meno ampie). Da parte loro sarebbe quindi lecito aspettarsi una reazione che sostenesse una sorta di superiorità, una completezza diciamo fisica e mentale. Ma si tratterebbe di discussioni da bar.

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Capire se la persona con cui ho un rapporto o che si limita a raccontarmi alcune sue esperienze con uomini e con donne sia un etero curioso, un gay represso o chissà cosa ancora, non mi interessa. Mi limito a godere del piacere della sua compagnia (se è in grado di offrirmene), sperando di ricambiarlo, e semmai a chiedermi cosa lo attiri in un uomo e cosa in una donna, sul piano fisico ma non solo.

Per quanto mi riguarda, pur avendo avuto nel corso degli anni esperienze intime con persone dell’altro sesso, non ho mai preteso di far parte della squadra dei bisessuali, anche se quella di omosessuale ritengo sia soprattutto una definizione comoda per non dover dare troppe spiegazioni. Un po’ come per Gattuso dare quella risposta sul matrimonio gay o per i giornalisti appuntarla senza ribattere. Un fatto di comodità.

Altra cosa però mi sembra il discorso sulla comodità relazionale tirato fuori a sorpresa da quel ragazzo, un discorso che forse riguarda molti giovani, non tutti – mi pare superfluo aggiungerlo – ma quantomeno quelli più spaventati o confusi o forse più opportunisti. I quali, potendo distinguere emozioni erotiche e affettive, preferiscono limitare alle prime la loro parte omo, riservando per le altre situazioni più comode.

Il Pride di Bologna di oggi riguarda anche loro. Un Pride che spero dia una forte scossa, che segni la tregua dei dissidi interni e ci trovi uniti. Perché, a mio giudizio, occorre abbandonare chi finge di volerci aiutare e combattere duramente chi ci è ostile nei fatti, qualunque cosa dica a parole. Non bisogna conquistare il mondo alla nostra causa ma solo mostrare che non siamo una minaccia contro il sistema o contro le famiglie. Vogliamo avere diritti senza sottrarli ad altri, senza sospendere processi o combattere magistrati, senza chiedere pizzi sottobanco o sul 740.

Non violentiamo bambini e non consideriamo contronatura nessuno, nemmeno chi ha scelto di non sposarsi e di non procreare, ma siamo stanchi di essere lo zimbello del mondo civile. Per questo dobbiamo dimostrare di saper passare all’azione. Un’azione pacifica e mirata, fatta di intuizioni brillanti come quella dei gay di Sassari, ma anche di dialogo aperto ognuno con il proprio mondo: amici, colleghi, familiari. Goccia su goccia, una rivoluzione – peraltro già iniziata – che parte dal basso quando dall’alto nulla si muove, che parte da ognuno di noi: gay, lesbiche, trans e anche bisessuali. Perché un giorno le scelte affettive siano il meno possibile dettate da questioni di comodità e il più possibile dai sentimenti.

Speriamo insomma che questo Pride serva a qualcosa o quantomeno che si riesca a sfondare noi, gradualmente ma insieme, nonostante l’indifferenza delle istituzioni e i beceri servizi dei media a caccia di trans in topless. Speriamo che sia un buon sabato. E anche una buona domenica, quando la Spagna della sinistra che ci piace affronterà la Germania della destra che ci piace. Quelle che si vergognano degli errori del proprio passato e progettano il futuro.

 

Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.

Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui

di Flavio Mazzini