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Grazie, signora Streep!

Meryl Streep oltre ogni limite nel bel film “The Iron Lady” di Phyllida Lloyd, in grado di restituire l’intimità e umanità del Primo Ministro Margaret Thatcher. Non si parla però della “Clause 28”.

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Margaret Hild Roberts, sposata Thatcher, Baronessa Thatcher di Kesteven, nacque a Grantham il 13 ottobre 1925. Fu Primo Ministro dal 1979 al 1990. Imposta dai conservatori come "elemento segnaposto", burattino telecomandato, fantoccio verde a disposizione dei conservatori per mantenere il potere grazie al voto delle donne, fu responsabile di aver portato il Regno Unito a un passo dal collasso sociale e civile mettendone a rischio la sicurezza stessa. Il suo unico interesse fu difendere l’economia britannica ma fu una mannaia per la spesa pubblica, la classe operaia e la cultura. L’effetto nel lungo periodo fu l’aumento del numero dei disoccupati e l’effetto forbice, ossia il divario tra poveri e ricchi.

Promulgò norme impopolari che strozzarono i diritti dei lavoratori (in particolare i minatori), rese impossibile il dialogo tra sindacati, chiuse i rubinetti dei finanziamenti culturali. Tutto in nome di Lady Sterlina.

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Promulgò la ferale "Clause 28" detta anche "Section 28" che, di fatto, impediva a ogni autorità locale di promuovere qualsiasi iniziativa che riguardasse l’omosessualità o pubblicare materiale che la promuovesse; gli insegnanti erano imbavagliati e non potevano parlarne, affinché non emergesse "l’accettabilità dell’omosessualità come una pretesa relazione famigliare".

Boy George scrisse una celebre canzone, "No Clause 28", che diceva: "Non proverai soddisfazione nell’adulterare il nostro orgoglio. Loro dicono che celebrarlo è il suicidio sociale".

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The Iron Lady, il bel film firmato da Phyllida Lloyd (Mamma mia, il film inglese di maggior incasso della storia, era spassoso, ma qui siamo distanti anni luce) non parla della "Clause 28" e non è un biopic, né un ritratto sardonico o irriverente, neppure una ricognizione storiografica: è Meryl Streep. E Meryl Streep può tutto. Non c’è un’ombra, una sfumatura, un riverbero nella sua straordinaria interpretazione (andrei sul sicuro: terzo Oscar), volta a ricostruire l’intimità di Margaret Thatcher, che non contribuiscano a rendere sullo schermo l’anima profonda di una donna incapace messa dove non doveva stare, priva di attitudini politiche, incapace di governare ma dotata di un carisma costruito ad arte con tanto di lezioni di portamento che le fece conquistare la stima di gran parte del ceto femminile.

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C’è una scena, magnifica, in cui la povera donna, rimasta sola nel luogo del potere, ha il terrore di inforcare gli occhiali: non vede più dove sta andando il Paese, dov’è il popolo britannico, dov’è lei. Meryl Streep ne restituisce sia l’umanità profonda che il disagio di una donna qualunque, figlia di un droghiere, laureata in chimica a Oxford, messa dove non doveva essere messa: un Primo Ministro che balla con Reagan per esaltare le virtù cosmetiche della propaganda di destra; decide di fare una costosissima guerra per la riconquista delle isole argentine delle Falklands che costò 255 morti e 777 feriti; disperarsi rimanendo attonita quando riesce a salvarsi dall’attentato al Grand Hotel di Brighton il 12 ottobre dell’84, in cui morirono cinque persone (ma si glissa sulla morte per fame del terrorista dell’Ira Bobby Sands, ricostruita da Steve McQueen in Hunger).

Sono commoventi sia il rapporto viscerale col marito Dennis (Jim Broadbent, siderale) che il forte legame con la figlia  Carol – gemella di Mark, di cui non si sa nulla – e col quale parla otto anni dopo la morte, ricostruito attraverso un sofisticato puzzle di flashback. Secondo lei "la società non esiste. Ci sono solo individui, uomini e donne, e ci sono famiglie". Il suo unico atout fu di essere una donna, l’unico Primo Ministro inglese donna della Storia. Al Times disse che "Essere potenti è come essere una donna. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei".

Oggi Margaret Thatcher ha 86 anni, soffre di demenza senile ed è presidiata a vista. I gay inglesi possono unirsi grazie al Civil Partnership Act, la cui legge fu annunciata nel discorso della Corona dalla Regina Elisabetta nel novembre del 2003, approvata dal Parlamento a novembre dell’anno successivo, senza polemiche.

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Se si pensa a quanto hanno fatto per i diritti umani le donne in Inghilterra, dalle suffragette quali Mary Wollstonecraft e Emily Davison alla laburista Margaret Beckett, unica donna nel Regno Unito ad aver ricoperto l’incarico di Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth, non si può che provare pietà per Margaret Thatcher, oggi. Allora era solo una pedina, non a caso la "Dama di Ferro", in un gioco perverso e di pericolosità massima progettato da un’ala politica che voleva il potere a tutti i costi.

Quando, una volta usciti dal cinema, si ripensa alla scena della vecchietta che acquista una bottiglia di latte, non si può non commuoversi. Da vedere.