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HIV: PIÙ FARMACI IN UNO SOLO

Principi attivi già a disposizione delle persone sieropositive ora combinati in una sola compressa. Con Kivexa e Truvada salgono a quattro le opzioni per avvicinarsi alla semplificazione.

PISA – La notizia è stata lanciata nei giorni scorsi al congresso nazionale dell’Anlaids che si è svolto a Vibo Valentia, ma in realtà risale a qualche tempo prima. Nei protocolli terapeutici degli ospedali italiani è entrato un nuovo farmaco combinato per il trattamento dell’infezione da Hiv: si tratta del Truvada™ della Gilead, che riunisce in un unico prodotto da assumere una volta al giorno due farmaci, l’emtricitabina e il tenofovir. Il Truvada™ va ad affiancarsi così ad altre formulazioni che riuniscono in un unico prodotto più principi attivi. È infatti già disponibile un altro farmaco che prevede la somministrazione di una compressa una volta al giorno: parliamo di Kivexa® (che unisce insieme abacavir e lamivudina) mentre altri due farmaci combinati disponibili da tempo (Combivir®, che unisce zidovudina e lamivudina, Trizivir®, che unisce zidovudina, lamivudina ed abacavir), sono a somministrazione bis in die (ossia è necessario prendere due compresse a distanza di circa 12 ore, quindi “due volte al dì”). Tutti e tre questi farmaci sono prodotti da GlaxoSmithKline.
Una volta al giornoI nuovi farmaci (Kivexa® e Truvada™, detti “farmaci di backbone”) non possono essere utilizzati da soli: ad essi (o l’uno o l’altro, mai insieme) è necessario associare una terza molecola, il cosiddetto “farmaco di anchor”, per completare così (“backbone + anchor”) la tradizionale “triplice”, che associa dunque tre molecole per la cura dell’HIV/AIDS. Quindi non siamo ancora all’unica pillola da assumere una volta al giorno, ma i vantaggi di queste nuove formulazioni sono evidenti. «La terapia anti Hiv richiede un grande rispetto dei tempi e delle dosi per continuare ad essere efficace ed impedire che si sviluppino le temute “resistenze virali” cioè, in parole semplici, che quei farmaci che si stanno prendendo (male) non funzionino più – spiega Francesco Allegrini, infettivologo all’Ospedale di Forlì – Ecco dunque che riuscire a combinare nella stessa compressa due farmaci (o tre farmaci come nel Trizivir) significa ridurre il numero di compresse e/o la frequenza delle assunzioni, significa cioè semplificare la vita ai pazienti e quindi rendere possibile fare bene la terapia e mantenerla efficace nel tempo».
«Dato che esiste la possibilità di associare ai farmaci combinati un terzo farmaco da prendere una sola volta al giorno – prosegue Allegrini – questo rende possibile la terapia “once a day” cioè assumere con poche compresse ed una sola volta al giorno tutti i farmaci che occorrono. Non si tratta di un vantaggio da poco: si pensi, solo per fare un esempio, a chi esce di casa al mattino presto e torna tardi dal lavoro oppure al giovane che il sabato sera fa tardi in disco e la domenica mattina non ha più l’obbligo di prendere le compresse alle 8… Proprio per questo consiglio sempre ai miei pazienti che fanno questo tipo di terapia di assumerla sempre alla stessa ora e preferibilmente a cena».
Un altro vantaggio che deriva dai nuovi farmaci riguarda gli effetti collaterali, come spiega Simone Marcotullio, Vice-Presidente dell’associazione Nadir Onlus che si occupa in modo specifico di terapie e management nella patologia da Hiv: «seppur Kivexa® e Truvada™ non siano esenti da eventi avversi anche molto differenti tra loro (come comunque tutti i farmaci per l’HIV/AIDS), essi, per le particolari caratteristiche delle molecole che associano, aprono la strada ad una vera e propria “semplificazione”, con la specifica, dai dati di letteratura di cui oggi disponiamo, di proporre soluzioni meno invalidanti soprattutto considerando la lipodistrofia». Che è l’alterazione del metabolismo data da alcuni farmaci in grado di provocare una distribuzione fuori norma del grasso, con dimagrimento in alcune zone come le guance o i glutei e accumulo di masse grasse in altre, come la schiena o il ventre.
Poche compresse, aderenza perfettaL’introduzione di questi farmaci combinati non significa tuttavia che tutti i sieropositivi in terapia potranno da oggi assumere un paio di compresse al giorno. Anche perché la formulazione “once a day” richiede una aderenza quasi perfetta: «Se da un lato è più facile fare una terapia con poche compresse da prendere tutte insieme dall’altro lato diventa ancora più importante non saltare le dosi perché questo significherebbe stare per 24 ore (e non più per 12) con farmaci sottodosati e favorire così l’emergere delle resistenze», spiega Francesco Allegrini. Ecco perché è importante verificare l’opportunità di ricorrere a questi farmaci esaminando gli stili di vita della persona sieropositiva, come specifica Simone Marcotullio: «Certamente Kivexa® e Truvada™ permetteranno il disegno di schemi terapeutici più semplici da assumere. Va però opportunamente specificato che, oggi come oggi, non siamo ancora nelle condizioni per cui un qualunque paziente possa “esigere” di assumere complessivamente “un paio” di compresse al giorno per il trattamento (contenimento) dell’infezione da HIV. Necessitiamo ancora di regimi “personalizzati” che tengano conto della “storia clinica” del paziente, dei precedenti regimi assunti, di eventuali fallimenti e di effetti collaterali farmaco-correlati».
E se nel mio centro non li trovo?Naturalmente il primo passo da compiere ora è lavorare sulla diffusione in tutti i centri clinici italiani di questi farmaci e farli conoscere alle persone sieropositive. Cosa che secondo Simone Marcotullio, che con Nadir onlus svolge anche un lavoro di monitoraggio della situazione negli ospedali italiani, non si è sempre verificata: «In Italia abbiamo situazioni molto allarmanti con una discrepanza tra i vari centri clinici molto molto forte. A noi arrivano segnalazioni ai confini della realtà. Pensa che in alcuni centri del sud non sono disponibili farmaci essenziali che da anni invece lo sono al nord, costringendo i pazienti a “migrare” verso altri centri. La situazione è vergognosa: si può parlare di una vera e propria discriminazione terapeutica. E chi ci rimette è sempre il paziente. Ma anche i medici spesso si trovano “tra l’incudine ed il martello”».
Per migliorare la situazione, secondo Simone Marcotullio anche le persone sieropositive possono fare qualcosa: «incentivare i propri centri clinici all’innovazione terapeutica, fare alleanza con i medici in nome del miglioramento della qualità della vita. Tristemente bisogna sottolineare che spesso questa alleanza deve agire contro le direzioni sanitarie ospedaliere, che per diversi motivi (economici?) a fatica introducono i nuovi farmaci nei prontuari».
E dal canto loro, cosa fanno i medici per far conoscere alle persone sieropositive queste opportunità terapeutiche? «Per la terapia anti HIV – risponde Francesco Allegrini – il medico propone lo schema terapeutico più semplice possibile e discute in dettaglio con il paziente non solo le caratteristiche biochimiche dei farmaci ma anche lo stile di vita, gli orari del paziente, le sue preferenze, ecc. Oggi si dice giustamente che la terapia deve essere “cucita” sul singolo paziente, in altre parole è la terapia che deve adattarsi il più possibile alla vita del paziente e non il contrario! Non dobbiamo mai dimenticare (noi medici, intendo) che dobbiamo occuparci di una persona e non solo di virus e linfociti».
Nuove frontiere della terapiaParlando di terapie anti Hiv non si può non pensare alle nuove opzioni attualmente allo studio. E tra queste lo sviluppo di nuovi farmaci di classi completamente differenti da quelle esistenti, possibilmente meno tossiche: «qui il cammino è duro ed impervio – sottolinea Simone Marcotullio – Ma qualche cosa all’orizzonte c’è. Basti pensare agli inibitori dell’integrase, agli inibitori di ingresso. Vedo più staticità, purtroppo, negli approcci immunologici. Questo è un ramo più complicato. Ma sarebbe “la chiave”. Il vaccino terapeutico? E’ ancora lontano…ma ci si sta lavorando. Le persone HIV positive non possono permettersi di smettere di sperarci».
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