Il Circolo e il Togay si chiudono: vince il "doc non doc" di Haupt - finale togay14 1 - Gay.it Archivio

Il Circolo e il Togay si chiudono: vince il “doc non doc” di Haupt

Der Kreis trionfa, menzione a La partida. Il pubblico sceglie il cieco di The Way He Looks

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È una scelta molto assennata, condivisibile, perfetta, ‘matematica’, quella delle giurie del 29esimo Torino Gay & Lesbian Film Festival, pronto a traghettarsi verso il coronamento del trentesimo anno di vita, con un’edizione eclettica proiettata verso le nuove generazioni, la memoria dimenticata (gli anziani e le loro esigenze), le paure tabù (l’Aids rimosso: ieri sera per il Focus Pensare Positivo c’erano una decina di persone). La giuria composta da Paola Pitagora, Pippo Delbono, Gabriele Ferraris, Ron Peck e Gal Uchovsky ha assegnato il premio Ottavio Mai per il miglior lungometraggio al sapiente ‘doc non doc’ “Der Kreis” (“Il circolo”) di Stefan Haupt, in grado di mescolare finzione e doc, realtà e rappresentazione, come mai si era visto in un lungometraggio gay: “Un film che con un sapiente linguaggio cinematografico racconta, tra la realtà e la finzione, in maniera toccante, vera, il difficile cammino di due uomini, di una comunità, nel cuore dell’antica Europa, per arrivare a vedere finalmente riconosciuti i diritti alla libertà dell’amore”.

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Giustissimo assegnare una menzione speciale al cubano “La partida” (“The Last Match”) di Antonio Hens, già produttore del meno riuscito “Verde verde”, il dramma con più respiro e vitalità del festival, una bella sorpresa in una Torino ancora eccitata per la vittoria del Campionato della Juventus. Uno sguardo sensibile e partecipato che può farlo accostare al cult “Fragola e cioccolato” ma in versione “Kick-off” latino: “Con un linguaggio cinematografico tagliente e contemporaneo racconta, come in una tragedia shakesperiana, una storia di menzogne, degrado, violenza, morte in una terra di grandi rivoluzioni e antiche rigidità, dove alla fine vince però il grido inevitabile dell’amore”.
Il premio del pubblico va all’aggraziato e delicatissimo brasiliano “Hoje eu quero voltar sozinho” (“The Way He Looks”) di Daniel Ribeiro e alla sua rivelazione Ghilherme Lobo che molti pensavano non vedente nella realtà (il film è costato un milione di euro grazie a cinque finanziamenti pubblici e nemmeno un euro sborsato privatamente).

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Tra i corti, scelti da Milena Paulon, Luigi Romolo Carrino e Gabriele Farina, trionfa il francese “Violette Leduc: la chasse à l’amour” di Esther Hoffenberg “per aver saputo raccontare con fascinoso linguaggio documentaristico il coraggio della parola di Violette Leduc in un’epoca maschilista quasi quanto quella attuale”. Un’ironica menzione speciale “per averci ricordato che anche le donne hanno il diritto di invecchiare e di avere le rughe va all’inglese ‘Rebel Menopause’ di Adele Tulli, vincitore anche del premio del pubblico.
L’adolescente down alla scoperta di una sessualità queer nel canadese “For Dorian” di Rodrigo Barriuso, che ha commosso e fatto discutere, ha conquistato la giuria dei cortometraggi composta da Silvia Minelli, Alessandro Fullin ed Enrico Salvatori “per l’originalità del tema, l’omosessualità di un adolescente down, trattato in modo ironico e commovente”. La politica irrompe nel tedesco “Das Phallometer” di Tor Iben, menzione speciale “poiché riesce a trattare un tema molto delicato, il trattamento umiliante dei rifugiati politici gay nella Repubblica Ceca, in modo assolutamente geniale e sintetico”.

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Il premio del pubblico va allo svedese “Ett Sista Farväl” (“L’ultimo addio”) di Casper Andreas.
Il Queer Award va infine al film più simpatico e ruspante, che avremmo voluto vedere in concorso (ipotizziamo che la scelta di esclusione dal concorso sia dovuta al fatto di dargli più chance in questa categoria), ossia il surreale “Ich fühl mich Disco” di Alex Ranisch, un ruvido pastiche dal cuore d’oro in cui un papà che sembra Fassbinder si trova a gestire insieme al figlio gay cicciotto il coma irreversibile della mamma (bravissimi gli attori Frithjof Gawenda, Heiko Pinkowski e Chrisina Groβe; ha il cameo di un avventore anche un selezionatore del Togay, Christos Acrivulis). Nessun patetismo, toni fiabeschi da “ma vie en Rosa (Von Praunheim, che appare in televisione a dare consigli di sesso al papà)” e uno spirito gagliardo alla tedesca che ce l’ha fatto adorare e tornare spesso in mente: come si dice nel film “La vita è una birra”.
Un bravo sentito va quindi anche alla giuria guidata da Max Croci e composta dagli studenti dello IED Ludovica Drusi, Francesca Gallina e Giulio Rocca e del Dams di Torino, Davide Bertolino, Bianca Cassinelli ed Edoardo Monteduro, “innamoratisi di un film dallo stile fresco e personale, che evita le trappole della banalità rendendo verosimile il surreale”.
Stasera gran chiusura al cinema Massimo con la cantante torinese Levante che intonerà il suo successo “Alfonso” visualizzato più di un milione di volte su YouTube e, a seguire, la proiezione della commedia musicale Bananot (Cupcakes) di Eytan Fox presente in sala. La pellicola racconta l’avventura di una band di Tel Aviv che vola a Parigi per partecipare all’Eurovision Song Contest con una canzone scritta, per il film, da Babydaddy degli Scissor Sisters.