Il prof accusato di avere picchiato l'allievo: "Ho detto il contrario" - scuola religione 3 - Gay.it Archivio

Il prof accusato di avere picchiato l’allievo: “Ho detto il contrario”

Il ministero indaga sull’accaduto. Arcigay: “Clima preoccupante nelle scuole italiane”.

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“Quale omofobia! Ho detto che essere gay non è una brutta malattia”. Si difende così il docente perugino accusato di avere aggredito un suo allievo che pensava essere gay . Secondo quanto riporta oggi il Corriere della Sera, il professore ha dichiarato che “stavo spiegando l’importanza di tutelare la privacy su argomenti quali razza, idea e tendenza sessuale. I ragazzi si sono messi a fare gli spiritosi” A quel punto l’insegnante avrebbe detto che “essere gay non è una brutta malattia”. E l’aggressione denunciata? “Era seduto scomposto – spiega il docente riferendosi al ragazzo che ha sporto denuncia -, con una gamba fuori dal banco. Sono passato e gli ho dato un calcetto, l’ho strattonato e gli ho detto metti dentro ste gambe”.
La vicenda, insomma, assume contorni poco chiari. Di certo c’è la denuncia e il referto medico che parla di lividi guaribili in 5 giorni. Ci sarebbero, inoltre, le testimonianze di altri tre ragazzi che confermano la versione dello studente.
Un fatto che la ministra Giannini ha definito “gravissimo”, se venisse confermato dalle verifiche in corso.

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Intanto, gli uffici ispettivi del ministero hanno avviato un’indagine, dopo la segnalazione dell’Ufficio scolastico e sulla vicenda è intervenuta anche Arcigay.
“È chiaro che se si dimostra che non c’è omofobia alla base di quanto accaduto, saremo i primi ad esserne lieti – commentano dalla perugina Arcigay Omphalos -. Rimane comunque l’allarme per una situazione preoccupante, in Umbria, perché questo non sarebbe certo il primo caso di omofobia in una scuola della regione”. E lo sanno bene gli aderenti al Forum delle Famiglie, che proprio in Umbria ha la sua roccaforte e che da tempo attacca le attività contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere che si svolgono nelle scuole. Basta fare una velo ce ricerca sul web per imbattersi nei video in cui, sempre con la stessa formula, quasi fosse un format, si attacca il materiale distribuito nelle scuole sostenendo che Arcigay insegna che per fare sesso ci vogliono due uomini o due donne e indicando anche i posti dove si può fare sesso.

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“C’è un susseguirsi allarmante di fatti gravissimi inerenti la scuola rispetto ai quali si rende urgente un intervento del Miur – ha aggiunto Flavio Romani, presidente di Arcigay -. Negli ultimi mesi abbiamo letto di insegnanti cacciati perché omosessuali, o per lo stesso motivo indotti all’abbandono della propria cattedra ; poi abbiamo appreso di un’occulta schedatura degli istituti scolastici richiesta dalla curia milanese attraverso la rete degli insegnanti di religioni, evidentemente eterodiretti. Storia che fa il paio con l’assurdo questionario diffuso in una scuola umbra un anno fa e che definiva l’omosessualità come una colpa. Poi, sette giorni fa, sui giornali, si discuteva del caso di un’insegnante che aveva definito l’omosessualità come una malattia durante l’ora di lezione. Non è sfuggito, inoltre, il decalogo diffuso dalla stampa cattolica per organizzare i genitori contro i progetti scolastici che hanno come obiettivo la lotta all’omotransfobia e il superamento degli stereotipi in tema di orientamento sessuale e identità di genere”.

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“Un’azione ignobile – prosegue Romani -, che svela non solo una connivenza del mondo cattolico rispetto a discriminazione, bullismo e violenza a scuola, ma addirittura fa vestire a quella lobby, rispetto a queste emergenze, i panni del mandante”.
Arcigay chiede alla ministra dell’Istruzione un tavolo di discussione “che permetta di verificare la messa al sicuro del nostro sistema scolastico rispetto alle scorribande ideologiche di chi vuole imporre il proprio modello educativo, aggirando qualsiasi organo di governo o processo democratico”.
“La situazione insomma è inquietante – conclude Romani – non è più tempo di rassicurazione verbali o pacche sulle spalle, specie se si considera il rallentamento e in alcuni casi addirittura la paralisi delle azioni antidiscriminazioni progettate dal ministero e da Unar. Ogni sospetto a questo punto risulta legittimo e spetta al ministro sventare i dubbi che questa serrata cronologia di eventi porta a noi e a tutta l’opinione pubblica”.