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IL VIRUS GAY ALLA BIENNALE

Contagiata da una diffusa sensibilità omoerotica e allucinata, l’arte surriscalda Venezia: dai trans piscianti di Arregui alle pitture di Richter. Ecco le immagini.

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VENEZIA – A una settimana dall’apertura, ci si rende conto che la Biennale di Venezia è un virus. Cosa sono quelle muffe che ricoprono i disegni erotici di Matthew Barney, che tutti aspettavano dopo Cremaster, il ciclo dedicato al membro genitale maschile? Donna e macchina (da presa) si incrociano nel video di Aïda Ruilova, ansimando.

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Il virus si è presto esteso a tutti gli organismi, contagiando le patate “utopiche” a forma di cuore di Agnés Varda, e la tentazione di abbandonarsi, senza inibizioni, all’a-normalità ha libero sfogo ovunque.
Al Fondaco del Tedeschi, fino al 10 luglio, la mostra Bad Boys presenta, a cura di Augustín Perez Rubio, sette giovani video artisti dalla scena spagnola, mix impagabile di camp e sperimentazione visiva, absolutely gay-oriented: Manu Arregui coreografa la sincronia di travestiti in 3D, insolenti figure senza volto ma dal piscio danzante, Carles Congost si interroga su cosa significhi essere adolescenti oggi, fra TV e club culture, mentre Jon Mikel Euba e Joan Morey spingono l’immagine verso una soglia più ambigua, dove l’immaginario omo-erotico della violenza e della dominazione si apre a un’analisi più ampia di cosa intendiamo per “mascolinità”.

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La strutture del potere rimangono ammutolite di fronte al cavallo e alla dignità del cavaliere di Fernando Sánchez Castello, mentre i gesti e gli oggetti sospetti prodotti da Pepo Salazar fanno presagire uno scoppio imminente. Se tutto resterà come prima, al ragazzo di Sergio Prego non resta che scivolare via, sensuale lucertola colpita da una placida follia. Il virus dilaga fino al Padiglione Venezia, dove nel video di Carola Spadoni (foto sopra) una ragazza incede lungo una strada deserta, spogliandosi lentamente.

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Anche altrove, nei video di Kader Attia (Smottamenti all’Arsenale) o di Erik van Lieshout (foto, padiglione olandese) assistiamo a microstorie incentrate su identità ed estetica gay: un ragazzo chiede a un altro che tipo gli piace, partono in moto nei sobborghi multirazziali di Rotterdam, fino a un bacio che parla di amicizia e di desiderio, della difficoltà di comunicare fra “diversi”, di farsi del “bene”.
Il valore dell’eccentrico ha finito per contagiare anche la mostra più istituzionale, Pittura/Paiting al Museo Correr, che in un succedersi caotico sovverte ritmi, rapporti di scala e convenienza per privilegiare un abbandono erratico al piacere del dipingere:

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accanto a un “inequivocabile” Francis Bacon, un piccolo ritratto di Gerhard Richter (foto) in cui i volti e i corpi di due uomini, sdraiati, in piedi, in primo piano, in dettaglio rivela una sospesa, quasi metafisica intimità intellettuale con il soggetto rappresentato (la celebre coppia di artisti inglesi Gilbert&George); e di affinità elettiva parla anche il piccolo ritratto di Elisabeth Peyton (foto sotto), consacrato alla giovane bellezza androgina di un amico dai capelli rossi. Sul filo del gusto personale dei curatori (consapevolmente anche cattivo, marginale “clandestino”), la norma è essere fuori norma, e la pittura conferma il cortocircuito del suo ritorno in auge: i Clandestini dell’Arsenale (Paulina Olowska, & Co.) sono il “sintomo” di questa pittura eccedente, che cola con liquidi spessi e forme spurie.

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Se vi sentirete girare la testa visitando infine le mostre di Ilya & Emilia Kabakov, curata da Chiara Bertola che reinventa “da capo a piedi” gli spazi della Fondazione Querini Stampalia, o quella di Fabio Mauri alla galleria Nuova Icona, e crederete di aver perso del tutto il senso delle proporzioni, non preoccupatevi: ormai anche voi siete stati contagiati! Scherzi di una Biennale tropicale.
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di Andrea Viliani