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In carcere lo chiamavano gay perché poeta. Si è suicidato?

Si sarebbe suicidato il ragazzo violentato dai detenuti perché scriveva poesie e quindi era gay. Ma i sospetti per credere che questa storia sia una bufala clamorosa ci sono. Eccoli.

Si sarebbe suicidato nel carcere catanese di Bicocca il 25enne indagato per mafia che era stato violentato in una cella del penitenziario dove era detenuto per reati di mafia perché scriveva poesie. Proprio per questa sua passione, gli altri detenuti lo avrebbero etichettato come gay e lo avrebbero stuprato. Il ragazzo si sarebbe impiccato lunedì sera.

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L’uso del condizionale, però, è d’obbligo in una vicenda che presenta alcuni coni d’ombra e che ad oggi non è ancora stata chiarita del tutto. Il caso era balzato agli onori delle cronache ad agosto scorso quando il suo avvocato, Antonio Fiumefreddo, dichiarò – come ricorda il Giornale di Sicilia – durante la trasmissione ‘Klauscondicio’ che il ragazzo era vittima di abusi. «Il ragazzo – spiegò il legale – scriveva poesie e aveva modi che potremmo definire effeminati. Non so nemmeno se fosse omosessuale, ma così venne ritenuto dagli altri detenuti, e fu trattato in carcere come tale. Fu violentato da un gruppo di 8 detenuti, tutti in carcere per gli stessi reati, e fu costretto al ricovero in infermeria con nove punti di sutura all’ano, L’episodio non è l’unico, credo sia accaduto anche molte altre volte» disse l’avvocato.

Arcigay Sicilia chiese immediatamente al legale di fornire il nome del ragazzo al Garante per i diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres, in modo che potesse essere protetto dopo la denuncia pubblica dell’episodio, ma Fiumefreddo non rivelò mai né al Garante né a nessun’altra autorità pubblica le generalità del detenuto.

La reticenza di Fiumefreddo era apparsa da subito sospetta: perché denunciare il caso a Klaus Davi e non aiutare le autorità a rintracciare il suo cliente perché lo proteggessero? Il Giornale di Sicilia, poi, dalle cui pagine la giornalista che si è interessata ha diffuso la notizia del suicidio, non ha voluto rivelare la fonte. Ma se nessuno, a parte l’avvocato è a conoscenza del nome del detenuto, come ha potuto esserne a conoscenza una giornalista?

Se pensiamo che i fatti si sono svolti in un carcere e, ancora peggio, destinato alla detenzione dei mafiosi, l’omertà non sarebbe elemento di stupore. Ma restano comunque i dubbi sul silenzio dell’avvocato Fiumefreddo.

Prudenza sui fatti viene espressa anche da Paolo Patané di Arcigay Sicilia che a Gay.it ha dichiarato: «Sulla pelle della gente non si può fare speculazione. Se per caso il ragazzo che si è suicidato è veramente quello di cui Fiumfreddo parlava a questo punto troverei tremendo sia che il Garante non lo abbia trovato sia che l’avvocato abbia tirato il sasso nascondendo la mano: in questo caso avrebbe esposto ulteriormente il suo cliente a dei pericoli. Aspettiamo i riscontri della magistratura».

I giudici hanno aperto un fascicolo sul caso.

 

di Daniele Nardini