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L’alta società vista da Andy Warhol, a Parigi fino a luglio

I celebri ritratti seriali del sovrano della Pop Art nella corposa retrospettiva “Le grand monde d’Andy Warhol”. Un allestimento imperdibile al monumentale Grand Palais dal 18 marzo al 13 luglio.

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È una delle mostre più ‘in’ della stagione, e da sola meriterebbe un weekend – possibilmente romantico – nella sempre seducente Ville Lumière. Trattasi dell’imperdibile ‘Le grand monde d’Andy Warhol’, circa 250 ritratti di sua sovranità la Pop Art, esposti dal 18 marzo al 13 luglio al Grand Palais di Parigi, il maestoso monumento sugli Champs Elysées dove si tenne nel 1900 l’Esposizione Universale e dove, nel 1971, si inaugurò una celebre personale di Francis Bacon proprio mentre il suo amante George Dyer si suicidava con alcol e barbiturici (vicenda ricostruita nell’intrigante dramma d’autore ‘Love is the Devil’ di John Maybury). 

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Si potrà vedere quasi un quarto della sua intera produzione di ‘portraits’ proveniente principalmente dal museo Andy Warhol di Pittsburgh, dal Whitney Museum e da collezione private, una sorta di mappatura ideale di quel gotha di star che contribuì a ridefinire la concezione stessa di vita mondana attraverso il celeberrimo ‘quarto d’ora’ di celebrità’ che rendeva chiunque avesse un minimo di visibilità sociale in grado di mescolarsi a quella plutocrazia altezzosa e distante che prima di allora forniva l’ossatura mediatica ai cosiddetti vip. In pratica, il primo passo verso quella notorietà caduca che quarant’anni dopo sarebbe stata formalizzata globalmente dagli scaltri ideatori dei reality show. 

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Quotatissime opere riprodotte serialmente con variazioni cromatiche combinatorie che diventarono subito una sorta di marchio di fabbrica – anzi, di Factory – indelebile e riconoscibile istantaneamente. Ecco, a pioggia, Marilyn Monroe, Lana Turner, Brigitte Bardot, Liza Minnelli, Jane Fonda, Jackie Kennedy, Lenin, la Gioconda, Man Ray, Elvis Presley, Debbie Harry, Grace Jones, Mick Jagger, Gianni Agnelli e tutta quella comunità top-queer che si consolidò con l’impero di Warhol (si potrebbe oltraggiosamente definirlo ‘mincul-pop’): Robert Mapplethorpe, Keith Haring, Giorgio Armani, Enrico Coveri, Yves-Saint Laurent, eccetera. 

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Una retrospettiva così corposa dei suoi ritratti, divisa per grandi temi – gli autoritratti, l’Ultima Cena, Mao, i dollari, le catastrofi – non era mai stata allestita e fu lo stesso Warhol a ipotizzarne la realizzazione in una sua dichiarazione: “Tutti i miei portraits devono avere la stessa misura in maniera che possano stare tutti insieme a formare un unico grande quadro che chiamerei ‘ritratti di società’. È una buona idea, vero? Magari un giorno il Metropolitan Museum lo vorrà acquisire”.  Nei suoi strepitosi diari, trascritti con cura servizievole dalla fedelissima Pat Hackett, l’immenso Andy gettava le basi del giornalismo colorista anche attraverso la concezione di questi ritratti glam-consumistici che erano una sorta di passaporto pubblicitario per l’empireo del jet-set più in luce del momento (in pratica il trionfo del fatuo: “Un artista produce cose di cui la gente non ha bisogno” soleva dire Warhol).  

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Così, il ritratto della ‘lucky star’ Madonna, fa tornare in mente quando Andy descrive il suo spettacolare matrimonio con Sean Penn, memorabile soprattutto per la presenza degli elicotteri che pattugliavano la zona e un malandrino Tom Cruise che si infila nella macchina di Andy per sfuggire ai paparazzi. Oppure, il celebre portrait di Truman Capote con occhioni sgranati, cappello sprofondato sul capo e sigaretta fra le dita, rievoca proustianamente le serate passate con lui a bere vodka al ristorante Antolotti dove lo scrittore, spesso barcollante e a braccetto con Andy “si turbava per tutto ciò che è anale e si sconvolgeva se gli chiedevo di scopate coi pugni”. 
‘Le Grand Monde d’Andy Warhol’ è sponsorizzata dal colosso del lusso LVMH (Louis Vuitton – Molt- Hennessy) con il sostegno di TF1 e Europe 1. È aperta tutti i giorni eccetto il martedì dalle 10 alle 22 e chiude alle 20 il giovedì.