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L’Hiv dilaga tra i gay: la terapia ci salverà?

Gli omosessuali ancora “campioni” di infezione. Ma diagnosticare e trattare la maggioranza dei sieropositivi sembra far diminuire il tasso di infettività. Alla conferenza di Vienna l’Italia assente.

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Buone e cattive notizie per i gay dal mondo della lotta all’Hiv, riunito a Vienna dal 18 al 23 luglio per la XVIII Conferenza mondiale Aids. Le preoccupazioni crescono perché in varie zone del pianeta l’infezione continua a dilagare tra la popolazione omosessuale con tassi pari anche a 20 volte quelli registrati tra gli etero; la buona notizia è che ci sono comunità in cui la terapia è talmente diffusa che sembra stia riuscendo a rallentare il dilagare delle infezioni, riducendo il potenziale infettivo delle persone sieropositive e quindi il rischio di contagio. Queste solo alcune delle più rilevanti novità riguardanti gay e altri uomini che fanno sesso con uomini – come vengono identificati in ambiente scientifico coloro che praticano comportamenti omosessuali pur non riconoscendosi in questa definizione – presentate alla Conferenza di Vienna che si è chiusa venerdì.

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Alle conferenze mondiali Aids la popolazione omosessuale è sempre in primo piano e soprattutto, camminando per l’ampio corridoio della Messe viennese, colpiva la presenza di tanti gay africani visibili. Mentre negli ultimi dieci anni la comunità gay occidentale si sforzava di liberarsi dall’identificazione con l’infezione da Hiv di cui è stata vittima agli inizi, nel continente africano l’invisibilità degli omosessuali spingeva molti uomini verso l’infezione così che ad esempio in Senegal più di un gay su cinque è sieropositivo mentre nella popolazione generale si registra un caso ogni cento persone. Anche in Tailandia e in Brasile alcuni studi hanno mostrato come l’Hiv colpisca ancora violentissimamente la comunità gay, che dal canto suo dimostra una bassa comprensione del rischio. E in Italia?

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Ultimamente molti infettivologi hanno rilevato un aumento nel numero di nuove infezioni tra i gay giovanissimi, dato però che il bollettino epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità non è in grado di confermare.
La Danimarca, invece, ha condiviso i dati sorprendenti rilevati nella popolazione gay nazionale, secondo cui il numero dei gay sieropositivi totali viventi è in continuo aumento e il sesso a rischio è sempre più diffuso, come testimonia il numero crescente di casi di clamidia, gonorrea e sifilide. In questo scenario si dovrebbe assistere a un boom di nuove infezioni; e invece no, le nuove diagnosi tra gli omosessuali ogni anno sono stabili e, siccome la popolazione omosessuale è in crescita (ebbene sì, i normali rilevamenti statistici danesi sono in grado di avere anche queste informazioni…) il tasso di incidenza è in diminuzione.

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La spiegazione degli scienziati è che sempre più persone seguono il trattamento antiretrovirale e sono quindi meno contagiose. È la dimostrazione scientifica che l’impiego su larga scala della terapia antiretrovirale può contribuire a prevenire nuove infezioni in quella che viene chiamata la strategia treatment as prevention o “trattamento come prevenzione”.
C’è di più: il fatto di intervenire con queste modalità all’interno della popolazione dei gay e degli altri uomini che fanno sesso con uomini (MSM, dall’inglese Men who have Sex with Men) in alcuni paesi potrebbe portare a contenere l’epidemia anche presso la popolazione generale. Lo afferma il modello epidemiologico presentato da Chris Beyrer al simposio di Be Heard! organizzato dal Global Forum for MSM and Hiv e che Stephen Lewis, ex inviato speciale delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids in Africa, ha salutato come un argomento scientifico inconfutabile che adesso dovrà convincere anche i governi più omofobi ad intervenire per offrire servizi di prevenzione e cura alla popolazione gay e MSM dei loro paesi.

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È chiaro, infatti, che per ricorrere alla strategia treatment as prevention bisogna rafforzare i servizi di diagnosi e di indirizzamento alla terapia e quindi servono iniziative specifiche per la popolazione che si intende sensibilizzare. Una riflessione che dovrebbe echeggiare anche nelle stanze del ministero della Salute italiano, da sempre incapace di parlare alla comunità gay e completamente assente alla conferenza viennese: “Questa è un’edizione importante per la conferenza, perchè siamo a soli 5 anni dal 2015, la data in cui dovrebbe essere garantito l’accesso a tutti ai trattamenti e alla prevenzione – ha affermato Alessandra Cerioli, presidente della Cassero Salute… Evviva i froci!