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LA SECONDA GIORNATA DEL FESTIVAL

Bello il film "La confusione dei generi", il dibattito dul FUORI con una conclusione assai poco gloriosa, e due corti italiani doc

CONCORSO DOCUMENTARI, L’ITALIA SI FA VALERE

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Due documentari italiani, interessanti e ben fatti, hanno illuminato di luce tricolore il concorso del Festival (e la carenza di film del Belpaese a tematica gay è un fenomeno purtroppo persistente): Odio i saluti di Julia Pietrangeli e Roma A. D. 000 di Paolo Pisanelli. Nel primo si ripercorre la vita di Piera Zanotti (1934-1999), operaia e sindacalista comunista, femminista e donna pioniera del movimento gay italiano: le prime battaglie politiche, le ostilità maschili, le rivendicazioni in piazza. Molte le testimonianze di persone per le quali la Zanotti era una specie di faro, un punto di riferimento irrinunciabile; è inoltre perfetta la ricostruzione dell’atmosfera rivoluzionaria, battagliera e fortemente ideologica che caratterizzò gli anni ’60 e ’70. Belle le musiche d’autore: Perfect day di Lou Reed, Björk, Skunk Anansie. Potrebbe entrare a buon diritto in zona premio.
In Roma A. D. 000 il World Pride romano dell’anno del Giubileo è il punto di arrivo di nove storie individuali (tra cui un cristiano praticante gay, una trans brasiliana, una coppia di ballerini sposati, Imma Battaglia, la matematica presidentessa del circolo Mario Mieli di Roma organizzatore dell’evento e Saverio Aversa, conduttore di un programma gay a Radio Futura) pedinate quasi zavattinianamente fino alla celebre parata dell’8 luglio 2000. Partendo dai mille Giubilei e analizzando il comportamento della Chiesa nella stigmatizzazione della parata gay, vengono riportate le numerose contromanifestazioni del World Pride tra cui quelle dello sparuto gruppo di Forza Nuova e del Movimento per la Difesa della Famiglia. Indimenticabile la scena del vescovo che discute con un giovane gay e poi decide contrariato ‘di andare a pregare’ mettendosi alla guida di una rombante Mercedes. E quando il Papa chiude la Porta Santa, si annuncia scherzosamente il Primo Giubileo Mondiale di Gay e Lesbiche: sarà mai cronaca vera?

F.U.O.R.I., TRENT’ANNI DI MOVIMENTO (E CINEMA) GAY

Al dibattito sui trent’anni del primo movimento gay italiano, nato a Torino nel 1971, Angelo Pezzana ha ricordato che proprio il F.U.O.R.I. girò nel 1973 un cortometraggio di dieci minuti intitolato Kasa in cui veniva ripreso da una telecamera fissa un vespasiano di Piazza Benefica, allora unico luogo d’incontro gay, film scelto da Ettore Sozzas per la Triennale e poi andato perduto. La visione di un film di Piscicelli, ‘Le occasioni di Rosa’ del 1981, in cui viene tratteggiato un personaggio gay vecchio e bavoso, molto stereotipato, è stato il motivo che ha invece indotto Giovanni Minerba a dedicarsi alla regia e alla produzione di film gay insieme a Ottavio Mai: impegno che si è poi trasformato nella prima edizione del Festival Gay al Cinema Artisti (progetto accettato dopo due anni da una giunta di centro-sinistra e dall’illuminato assessore Marzano).
Torino come città di cinema, anche perché i film della Mostra di Venezia, dopo il Lido, arrivavano nel capoluogo piemontese (e così si scoprì uno dei primi omodocumentari , ‘Word is out’, con interviste a gay e lesbiche americani, e nel 1962 il film ‘Victim’ con Dirk Bogarde), e il cinema come luogo da sempre familiare ai gay (al cinema ‘si batte’). Per il critico Vincenzo Patané, che nel documentario in tre puntate A qualcuno piace gay di Anton Giulio Onofri, ricostruisce la storia del cinema gay italiano fino a Il bagno turco di Ferzan Ozpetek (1997), l’immagine dell’omosessuale sul grande schermo è solo in parte cambiata nel corso del tempo, e le tematiche gay sono state affrontate soprattutto nei film con matrice letteraria che rappresentava una sorta di avallo giustificativo per l’argomento trattato. Nella commedia all’italiana pochi i risultati dignitosi recenti (degli anni ’90 viene citato solo ‘Belle al bar’ di Alessandro Benvenuti con Eva Robin’s) mentre nel passato grandi autori come Visconti e Pasolini hanno trattato l’omosessualità nel loro tempo esclusivamente in chiave metaforica.

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Ridicolo infine un triste fuori programma dello scrittore Alessandro Golinelli, moderatore (!) del dibattito, che ha abbandonato la sala dopo una sfuriata isterica per la civile replica di uno spettatore: poco prima si era proprio discusso della rappresentazione stereotipata nel cinema italiano del gay nevrotico e instabile. Ma il cinema non è forse anche specchio della brutta società in cui viviamo?

IL CATTIVO DI ‘PULP FICTION’ DIVENTA UNA DRAG VULNERABILE IN ‘HOLIDAY HEART’

Dal pulp al camp il passo è breve: Ving Rhames, il mastodontico e gorillesco boss Marcellus Wallace di Pulp Fiction, si trasforma in una coloratissima drag queen in Holiday Heart di Robert Townsend, film televisivo prodotto dalla Tribeca di Robert De Niro e gran successo di pubblico negli Usa. Holiday Heart è il nome d’arte del(la) protagonista, che dietro l’apparente spensieratezza dei suoi numeri da cabaret nasconde una profonda tristezza per la morte del suo amore (e il disprezzo dei parenti di lui). Quando decide di dividere la casa regalatagli dal defunto fidanzato con una ragazza nera tossicodipendente che ha una giovane figlia poetessa, riscoprirà il vero senso della famiglia e degli affetti.
Numeri musicali a gogò, gospel cantato a squarciagola ma una qualità televisiva decisamente bassa: a De Niro i film con travestiti non sembrano riuscire molto bene (vedi Flawless).

DONNE E UOMINI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

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Teatro Nuovo quasi pieno per il film francese in concorso La confusione dei generi di Ilan Duran Cohen, una ronde nevrotico-sentimentale tra sei personaggi in cerca di un’improbabile equilibrio esistenziale: Alain è un avvocato quarantenne bisex, eterno fidanzato di Laurence che lo vuole sposare ma circondato da molti amanti di entrambi i sessi tra cui il giovane Christophe che va a vivere con lui. Nella vita di Alain entrano anche Marc, un giovane carcerato suo cliente, Etienne, suo compagno di cella, e Babette, il grande amore di Marc che fa la parrucchiera. Quando Laurence rivela di essere incinta di Alain la situazione si complica.
Dialoghi sul filo di un’isteria programmatica e insistita, recitazione funzionalissima, qualche pretenziosità tipicamente francese ma una regia incisiva e piena di personalità. Corpi nervosi e concitati (magnetico e perfetto il volto scavato del bravo protagonista Pascal Greggory) si confrontano e si scontrano dentro e fuori dal letto.
Il pubblico ha apprezzato, qualche isolata disapprovazione mescolata agli applausi.