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La stepchild dei giudici: a Roma sentenza di adozione per due mamme

Seconda sentenza favorevole a una coppia di donne: la bimba avrà due mamme

Era già successo nell’agosto 2014. Stesso tribunale, stesso presidente. Caso analogo. Così nei giorni scorsi il Tribunale dei Minori di Roma, con una lunga sentenza di tredici pagine, ha per la seconda volta deciso, ben prima della politica, una sorta di stepchild adoption per una coppia di donne: con questa sentenza, per il combinato disposto dell’art. 44 lettera D e dell’art. 7 della medesima L. 184/83 e successive modifiche ed alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (che i giudici devono rispettare), grazie ad una forma particolare di adozione, la bimba avrà due mamme non solo dal punto di vista degli affetti, dei doveri e della convivenza, ma anche da quello della legge.

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E’ il Fatto Quotidiano a rilevare la notizia della sentenza redatta, come già per quella del 2014, dalla Presidente del Tribunale dei Minori di Roma, Melita Cavallo. Le due donne sono entrambe professioniste e convivono da molti anni da molti anni: dal loro rapporto è nata una bambina, concepita all’estero ma nata in un ospedale italiano. La trafila per arrivare alla sentenza è stata tutt’altro che semplice: prima il servizio adozioni del Comune e della ASL ha dovuto redigere una relazione che peraltro era assolutamente positiva, poi è stato dato ad un consulente esterno al Tribunale l’incarico di redigerne una seconda, che ha confermato la precedente. A quel punto si è arrivati alla sentenza.

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“La piccola Irene vive in un ambiente solido e affettivamente confortante – si legge nella relazione degli assistenti sociali di Comune ed ASL – in grado di garantire una crescita armonica adeguata alla sua età. La bambina frequenta oltre ai parenti anche i tanti amici della coppia, la maggior parte dei quali sono famiglie eterosessuali. Le due donne sono in grado di riflettere sulle scelte educative per Irene, di discuterle e di condividerle nell’ottica di costruire per lei un percorso di vita che non le crei difficoltà, ma le fornisca strumenti adeguati a conoscere la sua storia e a farla sentire serena e in equilibrio con se stessa. La tematica delle origini ed il modo di raccontarla alla bambina è un argomento da affrontare con gradualità e le due donne hanno deciso di farsi sostenere da specialisti”.

“Il cuore delle motivazioni di questa straordinaria sentenza – ha spiega Titti Carrano, legale delle due donne, alla giornalista de Il Fatto Quotidiano – è multiplo. Da una parte la giudice risponde al parere negativo del PM che contesta la scelta della lettera D dell’art. 44 in quanto la piccola Irene non si trova in stato di abbandono, dicendo che si tratta di una questione già superata dalla giurisprudenza. Infatti la lettera D è stata voluta dal legislatore per dare una cornice giuridica a tutte quelle situazioni in cui non si può procedere all’adozione legittimante, nell’interesse del minore ad avere garantito il diritto alla continuità affettiva con le persone di riferimento. Dall’altra, la presidente Cavallo si rifà alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze del 2012 in cui, concedendo la lettera D a coppia eterosessuale non sposata, di fatto venivano parificate le unioni civili – eterosessuali in quel caso – con il matrimonio, per concludere che, appellandosi alla Corte costituzionale, non si può discriminare una coppia sulla base dell’orientamento sessuale”.