L’imponente manifesto che accoglie i visitatori nel fatiscente C/O Berlin sulla vivace Oranienburger Strasse nel quartiere centrale di Mitte è una dichiarazione d’intenti: un’enorme vagina in primo piano con tatuata in corsivo la parola ‘Larry’. Un viatico alla Courbet in versione postmoderna per introdurre la mostra ‘Larry Clark’ sul fotografo e regista americano autore di quei provocatori video-atti d’amore verso casi disfunzionali di adolescenza borderline (tossicodipendenza, abusi sessuali, violenze fisiche e psicologiche) che sono i controversi "Kids", "Bully" e "Ken Park". La sua passione quasi morbosa per questo universo in divenire è il cuore di questa esposizione piuttosto deludente che comprende circa 200 scatti soprattutto degli anni ’60 e ’70. La prima sala è dedicata al suo libro fotografico di esordio "Tulsa" (1971), omonimo della città natale di Larry Clark in Oklahoma, dedicato all’ambiente di giovani tossicodipendenti frequentato da lui attivamente (in un’altra sala si vede un referto medico a suo nome con l’elenco infinito di droghe sperimentate).
Opera di successo che lo lanciò nel pantheon dei fotografi americani di talento, "Tulsa" è stata citata come fonte di ispirazione da grandi registi quali Gus Van Sant e Martin Scorsese. Clark immortala con intima partecipazione adolescenti nell’atto di iniettarsi la droga, fare sesso esplicito, giocare con pistole e siringhe. Il resto della mostra è una replicazione ai confini dell’ossessione dei medesimi temi a partire da un amarcord sulla liberazione sessuale francamente un po’ datato: ecco il crudo "Prostituta che fa a un teenager il suo primo pompino" (1974), la ragazza col cartello che recita "I’m one of God’s mistakes" (Untitled, 1973), i nudi frontali di ragazzi e ragazze coperte di fango, i ritratti ‘rubati’ dei giovani di strada nelle 42nd Street Series quali il sornione Chuck (2003). Uno dei suoi modelli feticcio, il latino Jonathan Velasquez, appare nelle pose più diverse in alcune foto a colori: mentre si toglie la maglietta, mostra per strada il deretano, viene ritratto completamente nudo in una foto del 2004. In un video d’antan altri tossicodipendenti si bucano e alcuni giovani amoreggiano.
Al piano superiore sono esposti i collage di foto Knoxville 1 e 2 (centinaia di scatti a singoli adolescenti) e alcuni articoli su casi criminali amplificati dai media negli anni ’70 in cui furono coinvolti minori vittime di abusi. La riproduzione di una foto pubblicata in una rivista porno raffigura due donne intente in un cunnilingus e la didascalia recita: "Secondo Terri, solo una donna sa realmente soddisfare un’altra donna".
Shock? Disagio? Irritazione? Le provocazioni di Larry Clark appaiono oggi onestamente un po’ superate e la ricerca estetica è limitata a una riproduzione senza orpelli di una realtà racchiusa in un contesto borderline che sembra però non dialogare col mondo esterno limitandosi a una contemplazione a tratti persino voyeurista.
Le ultime due sale sono dedicate alla mostra del canadese Edward Burtynsky "Oil", affascinante excursus di panorami industriali legati alla produzione e alla distribuzione del famigerato oro nero, responsabile di radicali alterazioni dell’ambiente a causa dell’inquinamento globale.
La mostra "Larry Clark" è visitabile fino al 12 agosto mentre "Oil" chiude il 9 settembre.