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LE NOSTRE FAMIGLIE

La “famiglia” non è più quella degli anni ’50. Solo i politici non se ne sono accorti. E una parte del movimento gay che snobba il riconoscimento dell’autorità. Ma l’approvazione serve.

M’è capitato di leggere un paio di dichiarazioni piuttosto buffe sul prossimo Gay Pride, che sostanzialmente dicono: “Non crediamo nei legami famigliari riconosciuti dalle autorità, ma visto che ormai l’andazzo del momento è questo, dobbiamo lottare per ottenere i Pacs”.
Ora, questa impostazione può certo far sorridere e pensare che capperi, queste sì che sono persone che hanno capito come si fa ad entusiasmare le masse…
Ma al di là del divertimento, questa impostazione causa anche disagio, perché dimostra che c’è una parte importante del movimento gay che non sta capendo cosa accade in Italia.
Noi gay non possediamo una cultura relativa alla famiglia, ok.
Ed era anche ovvio che così fosse fin tanto che la “famiglia” è stata solo e soltanto quella cattolica. Ancora oggi sono legioni, specie nella classe politica, coloro che per “famiglia” intendono automaticamente (per motivi ideologici) la coppia fondata sul matrimonio in chiesa, composta paleoliticamente da mammut, padrut e figliut…
Meno ovvio è però che a quarant’anni dalla rivoluzione sessuale e sociale che ha sconvolto le famiglie italiane, esistano gay che per “famiglia” continuano a intendere quella appena descritta. Colpisce la loro incapacità di notare i cambiamenti sociali che hanno fatto sì che la “famiglia” del 2004 abbia in comune soltanto il nome con la “famiglia” del 1964.
Com’è possibile non accorgersi del fatto che ormai la famiglia italiana non ha più nulla a che spartire con la famiglia a cui la classe politica continua a richiamarsi? E non solo nel senso che tutti i leader dei partiti di centrodestra, nessuno escluso, vivono situazioni famigliari incompatibili con la propaganda cattolica. Il punto è che è che dall’ultimo censimento è emerso che ormai un pochino più della metà dei cittadini italiani vive in situazioni famigliari diverse da quelle previste dall’ideologia della famiglia “normale” con mammut, padrut e figliut.
In altre parole, la norma statistica oggi è la presunta “anormalità”. “Gli italiani” oggi vivono come singles, o in convivenze non registrate, o condividendo appartamenti con amici, o convivendo con uno zio, o con un nipote…
Il paradosso è oggi che le sole famiglie in regola con l’ideologia medievale del papa sono quelle, spesso altrettanto medievali, degli immigrati mussulmani
Per gli italiani, ormai, la famiglia è un’altra cosa.
Non a caso lo scorso anno a Milano, per la prima volta nella storia, i matrimoni con rito civile hanno superato quelli con rito religioso…
E allora guardiamoci attorno. Guardiamo alle nostre famiglie. Quanti fratelli abbiamo? Meno anni abbiamo, e più probabile è che ne abbiamo o uno o nessuno. Quante persone consideriamo “parenti”? Genitori, nonni, e forse zii e cugini di primo grado? E i cugini di secondo e magari terzo grado, e i prozii, che un tempo rientravano tranquillamente nella cerchia delle parentele? E poi, quanto spesso li vediamo, a parte a Natale? E che ne è delle forme di parentela acquisita (compari e comari, padrini e madrine, figliocci e figliocce) che la società prevedeva ancora mezzo secolo fa per allargare ancora di più la cerchia dei parenti?
Per farla breve, la “famiglia” s’è andata restringendo di decennio in decennio. No, non è la stessa famiglia di cui parlavano i redattori della nostra Costituzione, quando ponevano la famiglia come base della società da proteggere e incoraggiare. E soprattutto non è la stessa famiglia contro cui si combatteva nel 1964 o nel 1974…Ormai è un’altra cosa.
La carenza culturale del mondo gay non si limita però a questo. Anzi.
In un momento in cui lo Stato sociale viene smantellato a picconate, tanto dai governi di centrodestra quanto da quelli di centrosinistra, la famiglia torna ad essere la struttura d’assistenza e solidarietà economica che già era nella società antica.
Fino a quando gli smantellatori del Welfare state troveranno coglioni disposti a dare loro la maggioranza parlamentare, avere una famiglia sarà letteralmente la sola alternativa ad essere su una strada, senza una lira, ammalato. La “flessibilità” inseguita spietatamente tanto dalla sinistra che dalla destra ha portato milioni d’italiani in una condizione di precarietà a cui non porge rimedio nessun presalario, nessun sussidio di disoccupazione, che invece esiste in tutti gli altri Stati europei.
In questa situazione, crearsi una famiglia riconosciuta dallo Stato non vuole dire costruirsi un caldo nido d’affetti e fiorellini e uccellini che fanno cip cip. Questa è, una volta di più, una visione ideologica che ci viene dalla cultura eterosessuale, e che noi facciamo nostra in assenza di una nostra cultura della famiglia.
Crearsi una famiglia gay, oggi che la famiglia etero di una volta si restringe sempre di più, vuole dire sempre più spesso anche avere strumenti per, banalmente, sopravvivere e arrivare a fine mese.
Pacs è la sigla di “Patto civile di solidarietà”.
Non siamo quindi di fronte a una “moda” a cui accodarsi, rassegnati, perché è l’ultimo capriccio del momento. Siamo di fronte a una necessità sociale, a una mossa d’autodifesa necessaria nel momento in cui lo Stato sociale è smantellato pezzo a pezzo, anno dopo anno.
Il movimento gay, essendo un movimento di liberazione sessuale, ha finora lottato per ricordare quanto sia importante vivere liberamente la propria sessualità. Per farlo, ha esaltato il rapporto di coppia come luogo di libera espressione di tutti i nostri desideri sessuali… ed ha fatto bene, viste le continue intromissioni nelle nostre camere da letto.
Ma la necessità di condurre questa battaglia ha fatto perdere di vista il fatto che la famiglia gay possa essere anche (non ho detto “solo”, ho detto “anche”) un luogo di solidarietà umana ed economica, di condivisione di risorse, di cui forse i gay ricchi sfondati non hanno il minimo bisogno, di cui i giovani gay che vivono con mammà e papà possono non avere ancora bisogno, ma di cui un gay operaio o “flessibile” o comunque non privilegiato può avere una necessità vitale.
Urge quindi imparare a vedere la famiglia gay anche come luogo di solidarietà sociale, di aiuto reciproco, che merita l’approvazione dello Stato che la Costituzione garantisce agli altri spazi di solidarietà.
Da questo punto di vista le nostre famiglie non hanno nulla di diverso dalle famiglie eterosessuali, e non esiste motivo per cui debbano essere trattate in modo diverso.
Altro che moda. Altro che capriccio. Stiamo parlando di solidarietà.
Come nella “s” di Pacs.
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di Giovanni Dall’Orto