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Le vostre “storie positive”

Cinque ragazzi ci hanno raccontato il loro rapporto con il virus dell’HIV: le loro vite, le amicizie, le gioie e le paure. E ci hanno regalato dei consigli. Cinque “Storie positive” da cui imparare.

EdoardoCara redazione di gay.it,

Trovo insolita quanto curiosa la vostra iniziativa di pubblicare storie di vita di persone positive per far capire a chi positivo non è cosa significhi convivere con questo fardello. Perché di fardello si tratta.

Iniziamo con ordine.

Non sto qui a descrivermi più di quel tanto per ovvi motivi, ma posso dire di essere un ragazzo di 26 anni e di aver scoperto da poco più un anno la mia positività.

E come? Ci si chiederà.

Lo scorso anno per motivi medici ho dovuto fare una lunga serie di esami clinici tra cui un esame approfondito del sangue, e se per la patologia per cui ero stato ricoverato non ho riscontrato nulla, la sorpresa (nemmeno troppo annunciata) è arrivata con questa scoperta.

Lo immaginavo da tempo, ma non avevo il coraggio francamente di fare ste benedette analisi e lo sapevo perché il ragazzo con cui un anno prima mi frequentavo, dopo essere sparito dalla circolazione per mesi all’improvviso è tornao ammettendo in primis di esserlo lui ed in secondo luogo di essere sparito proprio per motivi di salute legati alla malattia.

All’inizio comunque lo si venga a sapere è spiazzante.

Si spera fino all’ultimo che tutto sia a posto e che non sia successo l’irreparabile, ma poi davanti ai fatti sei solo e senza nulla da dire a nessuno.

Per la prima volta mi sono sentito davvero perso nel vuoto, perché per la prima volta non avevo nessuno a cui dirlo o volerlo dire.

Ci son voluti mesi perché lo confidassi anche ai miei amici sieropositivi.

Comunque il tempo passava ed io ho intrapreso un percorso autolesionistico a base di sesso e droghe sprecandomi in amicizie ambigue e venendo a contatto con particolari giri che gravitano attorno a certe discoteche milanesi e ad altri locali appartenenti al circuito ARCIGAY.

E questo vorrei sottolinearlo a caratteri cubitali.

Nei cruising e nei locali che aderiscono ad arcigay è ben raro vedere informativa sulla prevenzione e un certo locale che si fregia del nastro rosso a dicembre, organizzando un party a tema, farebbe meglio a lasciar cadere l’ipocrisia visto che nei propri bagni ogni sabato notte si consumano orge a base di droghe ed alcool e una volta al mese si pubblicizzano serate chiamate “playroom” animate da porno attori.

Non per perbenismo, ma vorrei mettere in guardia tanti ragazzi con cui ho incrociato la via in certi festini, totalmente ignoranti in merito alla prevenzione e di ciò che stavano facendo e dello stato di salute delle persone con cui  lo facevano, che non li avvertivano del pericolo che stavano correndo.

Così comunque sono passati gli ultimi mesi, alla ricerca di un equilibrio con me stesso e con gli altri.

Cercando, ogni qualvolta che conoscevo qualcuno di speciale le parole giuste per dirgli che cosa avevo e chi ero.

Perché se è pur vero che il virus non pregiudica la qualità della vita, diventa un ottimo deterrente per qualsiasi persona sana ti si voglia avvicinare.

In Italia questa condizione clinica per quanto se ne dica è ancora vissuta al modo della peste manzoniana.

Ad oggi posso però dire di essere se non sereno, un po’ più tranquillo.

Ho sempre le difficoltà di trovare le parole giuste per dirlo, ma quantomeno vivo la mia vita non più come una corsa contro il tempo.

Altro da dire penso di non averne e mi scuso con la redazione per la lunghezza della mia mail.

Come dicevo all’inizio ovviamente non vorrei lasciare indizi e quindi non firmerò con il mio vero nome.

Volevo però ringraziarvi ancora per aver dato voce alle persone per una volta e non solo al fattore clinico.

Cordiali saluti,
Edoardo

AnonimoCome si può raccontare un’esperienza personale e lasciare che questa coinvolga il lettore rivestendolo di tutte le emozioni che tu stesso hai vissuto sulla tua pelle?

Si tenta in qualche modo far sì che questa avvenga ma, per quanto lo scritto ci può provare, le paure, le angosce e derivati sono esclusivamente emozioni personali.

Sono sieropositivo da cinque anni, non ancora sotto terapia, e l’angoscia di dover cominciare, prima o poi, mi attanaglia ogni volta che ci penso.

Cerchi di vivere quella vita cosiddetta normale, ma dentro di te qualcosa è cambiato.

So che non avrò mai una seria e vera relazione, perché non avrei mai il coraggio di confessare il mio problema, sono consapevole della solitudine alla quale vado incontro e mi fa paura ma, più terrore mi fa la reazione che potrebbe avere il mio potenziale futuro compagno, alla mia verità segreta.

Amo molto fare sesso e cerco di essere sempre attento di non infettare nessuno, prendendo le dovute precauzioni, affinché un puro divertimento, non  diventi poi una tragedia per il partner di passaggio.

Facevo sempre le analisi di controllo, pur usando il profilattico e stando attento in qualunque modo, e il responso era sempre negativo, e sempre più mi convincevo che facevo bene a porre tutte le dovute precauzioni del caso.

Ebbi un periodo un po’ turbolento e non feci sesso per sei lunghi mesi, nel frattempo feci lo stesso le analisi per eliminare anche le inquietudini del cosiddetto periodo finestra.

Conobbi un tipo e ci feci sesso, e come al solito, con il preservativo, ma il caso volle che l’eiaculazione dell’altro mi sporcasse col suo sperma, e tutto probabilmente, in un punto fatale.

Non ci pensavo neanche, perché non ero consapevole del rischio, fino a che le analisi dopo cambiarono il verdetto.

D’allora la mia vita interiore non è stata mai più la stessa, e non sono mai riuscito ad accettare la malattia perché non l’ho mai sentita meritata, non perché gli altri la meritino, ma che forse a differenza di qualcuno ero stato sempre molto ligio nei rapporti.

Durante il mio cammino ho incontrato spesso persone ostili al condom, e questo mi fa capire con quanta leggerezza  ancora si guarda alle malattie veneree.

Si pensa sempre che il male appartenga agli altri, ma nessuno pensa mai… CHE GLI ALTRI SIAMO NOI.

DavidCiao mi chiamo david

a febbraio di quest’anno ho scoperto di aver preso il virus dell’hiv, lascio solo immaginare il dramma! Ho soli 26 anni, questo per dire che nessuno è invincibile o immune da questo piaga. Ho veramente preso la situazione per i capelli, sono arrivato in ospedale con un sistema immunitario molto deficitato, ho cominciato subito una terapia antiretrovirale ed ho continuato a vivere con tutte le difficoltà del caso.

La fortuna è che affianco ho un compagno da 6 anni che mi ama, lui non è sieropositivo per fortuna! In tutto questo ho una sorella da crescere di soli 13 anni vive con noi da 5 anni in quanto non abbiamo più i genitori, e quindi tutto diventa molto complicato, ma per fortuna sono circondato da amore.

Anche se circondati d’amore non bisogna mai abbassare la guardia.

Grazie in anticipo per la pubblicazione di questa mail, spero di poter aprire gli occhi a qualcuno!!!!!
david

Luca"Continua a condurre la tua vita di sempre"….

queste sono state le parole che mi hanno detto tre mesi fa quando ho varcato per la prima volta la porta del reparto di MALATTIE Infettive.

Facile a dirlo,ma a farlo c’e’ da varcare e superare piu’ di una porta.

Inizi a ripercorrere la tua vita a capire (anche se da capire in fondo c’e’ ben poco) gli sbagli che hai fatto, inizi a chiederti perche’, quando, come, dove…. in una parola sola inizi a convivere con un fardello che non conosci, o che hai fatto finta di ignorare fino ad allora.

Scareventato contro un muro dove picchierai la testa tante di quelle volte che alla fine tutto quello che ti diranno non avra’ piu’ peso..

Ho iniziato ad aver paura di me stesso perche’ credevo di mettere a repentaglio la salute di chi mi stava attorno, ma poi capisci che sono gli altri a mettere in pericolo la tua.

Troppa pieta’, troppe parole vengono spese invano quando basterebbe un sorriso o ancora meglio il calore umano.
Perche’ se e’ vero che la mia vita nn deve cambiare, come si spiega che qualcuno si allontani nel sentir pronunciare HIV?

Ho sempre che nella vita e’ doveroso sognare e sperare e nn saranno certo gli altri o un qualcosa di non ben conosciuto nel mio sangue a farmi cambiare parere.

Detto questo rimando ad ognuno di voi la responsabilita’ delle vostre azioni tenendo conto che di pene da espiare ne dobbiamo gia’ abbastanza e alora perche’ andarsele a cercare?

La vita e’ una ma al momento in cui capiamo che andrebbe apprezzata e rispettata forse e’ gia’ troppo tardi. Nonostante questo rimango fermo nella convinzione che che ad ogni pena sofferta ci sara’ una gioia da vivere.

LUCA

MarcoE’  il giorno del suo compleanno e stamattina voglio essere tra i primi a fargli gli auguri, sia pure per telefono, dato che distiamo 200 km. Stasera magari gli farò una sorpresa e lo raggiungerò a casa, come ho fatto tante altre volte negli ultimi 4 anni, da quando stiamo insieme (cazzo, come vola il tempo!!).
Proprio ieri gli ho comprato quella camicia, canna da zucchero e colletto bianco, ma di fattura classica, che sembra fatta per lui: un pizzico di stravaganza nel rigore della tradizione. La camicia l’abbiamo vista insieme, il mese scorso, nella vetrina del suo negozio di abbigliamento preferito. Sì, sì, stasera gliela porterò! Chissà che faccia farà nel vederla!

Ma…che sto dicendo!!! Mi son lasciato prendere dall’euforia: non posso andare, proprio stasera, da lui! Sarà sicuramente impegnato a festeggiare con i suoi amici che nemmeno sanno della mia esistenza, né sanno che stiamo insieme. Anzi, a dirla tutta, non sanno nemmeno che lui è gay, come d’altronde di me non sa nessuno dei miei amici: a volte  quasi dimentico che la nostra è una storia a due ed entrambi abbiamo voluto che sia così e che resti così! Ed allora, se voglio davvero fargli la sorpresa, lo dovrò raggiungere nel primo pomeriggio, anche se solo per una mezzora, non di più, poi dobbiamo lavorare entrambi!

Beh, forza, adesso lo chiamo e dovrò far attenzione a non farmi scappare nulla, altrimenti, come al solito, rovinerò la sorpresa! Esordirò dicendo “auguri vecchietto!!” : già, infatti oggi compie 35 anni e, anche se è giovane, per me resta sempre vecchietto, dato che ne ho 8 di meno! Ma, no, forse è meglio di no: lo conosco troppo bene e, aldilà dello scherzo, la cosa gli potrebbe dare un po’ fastidio ed allora meglio chiamarlo come sempre, con il nomignolo di “amorino” o “cicci”.    

Compongo il suo numero di cellulare, con la gioia di chi è contento e sa di esserlo grazie alla persona che ha dato un senso alla propria vita. 
Dall’altra parte mi risponde una voce maschile che non riconosco.
“Pronto?”, dico io.
“Pronto chi parla?”
“Ehm, scusi, devo aver sbagliato numero”.
Riattacco e rifaccio il numero, mentre mi chiedo come posso aver sbagliato a digitare, dato che quel numero ce l’ho in memoria. Beh, mi dico, ogni tanto ci possono essere delle interferenze strane, con questi aggeggi tecnologici e quindi…riprovo!
“Pronto?” risponde la stessa voce di prima.
“Pronto….senta cerco Luca…non so…lei chi è?”
Con tono decisamente seccato: “Senta, io non devo dirle chi sono. Deve essere lei a dirmi chi è e cosa vuole da Luca”.

Mmhh, spero di non aver messo Luca in qualche casino con questa telefonata e cerco allora di recuperare: “Sono semplicemente un suo amico. Scusi, ma è lì con lei? Magari è impegnato e richiamo più tardi?”
Con fare molto freddo e staccato: “Guardi, non so chi lei sia, ma ho letto gli sms che lei ha mandato a Luca sul suo numero di cellulare. Consideri che non le posso passare Luca, dato che sta male, sta molto male. Anzi, dato che il suo cellulare ora lo abbiamo noi di famiglia, la prego di non voler più scrivere messaggi o fare chiamate perché non è gradita, né è opportuna, la sua presenza in questo momento”.

Io, inebetito: “Si, capisco, mi rendo conto”. In realtà non capisco proprio nulla.
“Buongiorno”, sta per riattaccare.
“Buongiorno a lei, mi scusi, sicuramente non importunerò più…” …in quello stesso attimo riesco a guardare la situazione dall’esterno e: “scusi, un’ultima cosa: se lei ha letto i messaggi avrà intuito che sono una persona molto molto vicina a Luca e, per questo, le chiedo di avere qualche informazione in più. Può essere così cortese da venirmi incontro, per favore?”.
Senza esitazione ed, anzi, quasi con la gioia di chi è consapevole di fare un bel gesto, anche se in modo molto brusco e liberatorio: “Beh, se proprio vuole saperlo, è ricoverato in ospedale”.
Panico da parte mia! “Come? Ospedale? Quale?”
“Non avrà mica intenzione di venire?”, stizzito.
“No no, non mi azzarderei mai!” (non è vero, ci andrei all’istante se Luca fosse da solo! E sarebbe di sicuro un piacere per entrambi!) “Glielo chiedo solo perché spero che sia in un ospedale in cui lui magari è conosciuto ed è trattato in maniera adeguata”.
“Guardi, queste informazioni non posso dargliele, ma sicuramente è in un’ottima struttura”.
Mi aggrappo alla disperazione e tento il tutto per tutto: “Senta, so che non mi conosce, ma io credo di sapere lei chi è”.
“Ah, sì? Ma come si permette? E chi sarei?”
“Lei è Andrea, vero?”
“Ma…questa poi!” Con fare molto nervoso e con un tono di voce sempre più alterato e quasi inquisitorio: “Ora mi deve dire come fa a saperlo e cos’altro sa di me!”
“Beh, me ne ha parlato Luca parecchie volte e so che lei è uno dei suoi migliori amici, non so altro” (mento spudoratamente, so praticamente tutto di lui, del suo carattere, delle sue amicizie, della sua vita, della sua casa, del suo lavoro, della sua famiglia…ma non è certo il caso di dirglielo proprio ora!).
“In verità sono più che un amico”.
“Si, certo, Luca la considera un fratello”, lo rassicuro.
“Ora sì, ma in passato sono stato anche più di un fratello”.
Ma che cazzo vuole dire questo qui? Luca è mio! Boh, lo devo assecondare e, con fare garbato e remissivo, rispondo: “Certo, lo so (in realtà non immagino proprio nulla e questa storia mi sembra assurda! Ma…forse, semplicemente ho male interpretato le sue parole!). “Scusi, posso sapere cos’ha di preciso Luca? Perchè è stato ricoverato? Ieri aveva febbre e mal di testa, ma non credevo si facesse ricoverare”.
“Non si sa cos’ha. Ma sta molto male”.
“Le chiedo, allora, un favore enorme. Io le prometto che non chiamerò più questo numero e non manderò più messaggi, ma può darmi il suo numero di cellulare così ho qualcuno da chiamare per avere delle informazioni sugli sviluppi della situazione? …sa, ho veramente bisogno di sapere”.
“Ed io dovrei darle il mio numero personale?”, lo dice con lo stesso tono di voce di chi ha a che fare con un pazzo o maniaco del quale non vede l’ora di sbarazzarsi.    
“Se non vuole, capisco perfettamente, ma le chiedo di chiamarmi, anche da un numero privato per tenermi aggiornato”.
In maniera del tutto inaspettata mi sento rispondere “Vabbè, segni pure il mio numero, ma mi chiami solo una volta al giorno”.
“Grazie, grazie, grazie”. Non mi vengono altre parole per chi è il mio unico collegamento con la persona che amo.
Riattacco.

Le lacrime vengono giù da sole, sto realizzando la situazione.
Luca, pur non presentando alcun segno esteriore visibile, non mi ha mai taciuto della sua malattia, la leucemia ed, anzi, ho trascorso notti insonni insieme a lui quando è stato ricoverato in ospedale, per mandargli, dal mio letto di casa, continui sms di conforto e di amore. Certo, ora devo solo continuare ad essere fiducioso, come sempre, e ad infondere coraggio a me stesso.
Trascorrono tre ore interminabili. Inutile descrivere il mio stato d’animo. Ho bisogno di parlare con qualcuno che possa condividere con me quella realtà…avverto la sensazione che sia successo qualcosa.
Chiamo Andrea.
“Scusi, sono di nuovo io”.
“Si. Buongiorno” e, senza aggiungere altro, “È in coma farmacologico”.
“Come? Cosa vuol dire?”
“Sì, i medici hanno preferito indurlo al coma”.
“Ehm, io non ne capisco molto in campo medico, ma…”.
“In realtà brancolano nel buio. Non si capisce cosa abbia”.
“Beh, forse è collegato alla sua malattia”.
“Prego?”, stralunato.
“Certo, intendo dire che forse le sue condizioni generali di salute sono un po’ compromesse”. Luca, in verità, mi ha sempre detto che siamo in pochi a sapere della sua leucemia e tra queste persone, oltre alle sorelle, mi viene spontaneo credere che ci sia, anche se lui non me lo ha mai detto, il suo amico di una vita, Andrea.
“Se sa qualcosa lo deve dire perché Luca rischia la vita”.
Senza esitazione, “ha la leucemia”.
“Leucemia? Ma che dice?”
“Lo so perché me lo ha detto lui ed è stato ricoverato in ospedale parecchie volte; ma.. le sorelle lo sanno perfettamente”.
“Va bene, grazie per l’informazione”.
Mi sembra assurdo che Andrea non sappia nulla, ma è proprio così, che strano!
Trascorrono altre ore e questa volta è lui a chiamarmi per dire che i medici hanno valutato l’ipotesi e l’hanno anche scartata e le sorelle dicono di non sapere proprio nulla di questa presunta leucemia. Mi chiede, passando al tu: “Sai per caso dove conserva le sue cartelle mediche?”
Certo che lo so, stiamo insieme da 4 anni! “Sono al pian terreno, nella libreria sotto le scale. Nell’anta in basso a sinistra. Ma non so se poi ha cambiato posto. In realtà le sue cartelle mediche io non lo ho mai viste, ma quando lui vuole dirmi che i suoi globuli bianchi sono a terra va lì e legge dati e numeri per me incomprensibili”.
“Capisco. Grazie. A dopo”.

Son passati quasi tre anni da allora.
Quella settimana ho scoperto che Luca era sieropositivo, che lo è anche Andrea e che lo sono anche io. Non ho potuto mai più sentire o vedere Luca. È stato il più fortunato dei tre: se n’è andato via in pochi giorni, senza dare spiegazioni a nessuno e con due persone accanto che lo hanno amato ed accompagnato incondizionatamente fino all’ultimo.

Le cartelle cliniche, a quanto pare, erano proprio lì dove ricordavo io, a completa disposizione delle sorelle che ne hanno potuto fare quel che volevano. Le sorelle io non le ho mai conosciute, se non attraverso i racconti di Luca. Loro hanno sempre sostenuto di non sapere proprio nulla delle condizioni di salute del fratello; negano che sia morto per complicazioni derivanti dalla sua sieropositività e negano, anzi, la sua stessa sieropositività. Preferiscono far finta che io non esista e che non sia mai esistito. Continuano a vivere nel grigiore della loro ipocrisia.

Per un periodo ho frequentato Andrea e ci siamo considerati amici, poi forse abbiamo capito che tutto nasceva dalla situazione surreale che ci ha visti protagonisti ed oggi non ci sentiamo neanche più. So che lui ha cominciato le cure, io dovrei cominciarle a brevissimo, anche se ne sono terrorizzato e non so se le farò. La vita ha assunto tutt’altro significato e spesso mi chiedo il perchè. Poi mi dico che non ha senso chiederselo ed allora prego per Luca, per la sua anima.

Gli incubi iniziati quella settimana, ancora mi perseguitano. Spesso penso al suicidio, finora mi è mancato il coraggio.