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LIBRI: VERSO IL CAPOLAVORO GAY

Intervista a Tommaso Giartosio, autore di un saggio su “Letteratura, omosessualità, mondo” intitolato “Perché non possiamo non dirci”. “Parlo di scrittura gay senza compartimenti stagni”.

FIRENZE – La casa editrice Feltrinelli è senza dubbio tra le più interessate al dibattito culturale sull’omosessualità oggi in Italia. Negli ultimi quattro anni ha pubblicato tre testi fondamentali: Il movimento gay in Italia di Gianni Rossi Barilli, Amori senza scandalo: cosa vuol dire essere lesbica e gay di Paolo Rigliano e la riedizione di Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli. Da qualche mese in libreria, il saggio di Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo (Feltrinelli, 2004, p. 200, Euro 15,00) conferma l’impegno dell’editrice milanese all’approfondimento del tema gay.
Il libro di Giartosio è importante e utilissimo perché fa il punto della situazione sull’omosessualità e stimola molte riflessioni. Ma non siamo di fronte a un saggio noioso. L’autore si serve dell’antico stratagemma letterario del dialogo fra due interlocutori (Giacomo Leopardi ne fece ampio uso) che nel corso di una conversazione analizzano e spiegano con linguaggio chiaro e semplice i vari aspetti di uno o più temi, in questo caso lo stato dell’omosessualità oggi in Italia.
All’autore di questo bel libro abbiamo rivolto qualche domanda.
La nuova letteratura omosessuale
Mi sembra che nel tuo saggio non dici se sei contento di quello che la letteratura italiana gay ha prodotto finora (non mi riferisco agli autori considerati omosessuali a posteriori, ma a quelli che sono dichiaratamente gay e scrivono di cose gay).
Attento con frasi come “considerati omosessuali a posteriori”, è un invito alla battuta…
Dài, sul serio…
Ok. Autori come Bianchi o Mancassola stanno raccontando una condizione gay del tutto nuova. Costruiscono un percorso che nella nostra letteratura non c’era. Alcuni dei loro libri sono molto belli: a me piace Piccoli italiani di Marco Lanzol, mi piace il linguaggio di Walter Siti, mi piace il gioco dei pensieri in Il mondo senza di me di Mancassola. Certo, non ho ancora trovato il capolavoro. Per ora vedo dei libri che dovevano essere scritti. Leggo Matteo B. Bianchi, è molto lontano da me, ma Generations of love funziona, ha un’urgenza che nasce dall’incontro tra il talento dell’autore e un tessuto di esperienze condivise. Tieni presente che io sono, più che un critico, un lettore (oltre che uno scrittore). Uno che sale a bordo della pagina, sgomita, sbuffa, cerca di arrivare fino al conducente e di capire in che direzione va. Non uno che raccoglie le tabelle di marcia dei libri per capire quale corre di più.
Una letteratura senza separazioni
Della critica letteraria gay non sembri molto soddisfatto e mi piace quando affermi la necessità, quasi il dovere, di considerare l’omosessualità una nozione che non può più essere ignorata da studiosi, critici e commentatori culturali. Qui in Italia siamo un po’ indietro e ci sarebbe un sacco da fare, vero?
Bisogna riuscire a parlare di letteratura gay senza creare compartimenti stagni. Nei classici italiani l’omosessualità c’è fin da prima di Dante, per l’ovvio motivo che c’era anche nel mondo di allora, mescolata all’eterosessualità. È un dialogo che va avanti da secoli. Tra gay e etero, o anche entro lo stesso individuo. Se molti cattedratici fanno solo un accenno all’omosessualità di Umberto Saba, è perché gli sembra che da lì non si torna indietro, che se ti metti a parlarne sul serio Saba diventa un autore gay e basta. Io dico: forza, smettiamola di avere paura. La gente è complicata, i libri pure: benissimo, interroghiamoli per come sono, senza tanta voglia di appropriarcene, di tirarli per la giacchetta in direzione etero o gay.
“Meglio il coming out”
C’è nel saggio una sorta di “chiamata alle armi”. Si percepisce cioè una forte esortazione a vivere serenamente la propria condizione omosessuale e ad avere il coraggio di non nasconderla, rivolta soprattutto a quei gay che, come dici tu, vivono nella grotta dietro la cascata. È così?
Non serenamente: felicemente. C’è una differenza, ne parlo nel libro… Comunque sì, pur senza dogmatismi credo che sia molto meglio non nascondersi. La vita gay è faticosa. È più riposante viverla apertamente. Come dice quel personaggio di Busi: “Non so mentire: troppo complicato, fa male alla testa, costringe a ricordare tutto e nello stesso modo”. E se possibile, consiglio di viverla anche attivamente, collaborando con qualche gruppo gay per accelerare il riconoscimento.
Ti sembra proprio necessario? Perché?
Almeno per un motivo. Gli adolescenti gay si suicidano molto più spesso dei loro coetanei etero. Siamo stati tutti ragazzi e ragazze, si sa di cosa parlo. Non c’è tempo da perdere.
Concludi il libro con una toccante lettera di Primo Levi a Umberto Saba che mi sembra essere un tuo invito allo svolgimento di temi e problemi nuovi che attendono soluzione. Io credo che oggi i tempi siano maturi. Il tuo libro, per esempio, ne è una bella prova. Tu che ne pensi?
In realtà la riflessione sull’omosessualità è stata vastissima, negli ultimi decenni. Anche in Italia, benché meno che altrove. Ora che l’emancipazione è almeno avviata, è il momento di pensare soprattutto a stringere legami. Con il movimento delle donne, l’ebraismo, l’immigrazione, e ovviamente con il mondo eterosessuale. Dialogare ci aiuterà anche a capire meglio chi siamo noi gay. E la letteratura in questo svolge un ruolo essenziale. Un libro è anche una persona che parla a un’altra persona di cose che ci riguardano tutti. Un colloquio privato che produce comunità.

di Alberto Bartolomeo