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Mamma mia: troppi gay a quella festa gay

Per quanto surreale, è un appunto che si sente fare non da qualche (raro) etero, ma proprio da un altro gay. Sono quelli “fuori dai giri” ipercritici e lamentosi, ma presenti ad ogni occasione.

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Una volta mi è capitato di vedere a teatro un’opera di Jonesco. Una di quelle scelte contro natura che si fanno per compiacere le aspettative di un ragazzo che ti piace. La trama non la saprei ridire neppure se mi immergessero in una vasca ghiacciata con la minaccia di affogarmi tanto era incomprensibile e credevo di essere l’unico culturalmente impreparato quando, guardandomi intorno nella sala, venni confortato dalla presenza di decine di punti interrogativi più o meno sonnolenti accomodati sulle poltrone. All’uscita il mio accompagnatore mi spiegò che non era fondamentale comprendere la trama dato che si trattava di una commedia definita "dell’assurdo". Da allora mi sono state più chiare certe dinamiche surreali del mondo gay e quando, nove volte su dieci, mi capita di trovarmene davanti una faccio spallucce e mi dico "eccoci nella solita rappresentazione dell’assurdo".

Lo scorso sabato due dei miei più cari amici festeggiano il loro matrimonio con un bellissimo party qui a Roma. Premetto: loro sono entrambi uomini quindi sarebbe superfluo sottolineare che si tratta di un’unione gay. Decine e decine di invitati. Parenti degli sposi, amici di vecchia data, colleghi, c’era di tutto persino gli odiosi bambini che ti corrono tra le gambe e frignano per attirare l’attenzione. Tra gli invitati, sarà difficile crederlo, persino dei gay. Tutto si svolgeva in un clima così sfacciatamente “normale” che gli sposi, come è giusto che sia, passavano tra gli ospiti chiedendo nervosamente: “tutto bene? Vi divertite? Prendete la torta! Ricordatevi le bomboniere!”. Quando incontrano Lui, l’amico dell’amico che ovviamente è presente perché “scusate ma è arrivato oggi a Roma, vi dispiace se lo porto con me?”.
“Allora che te ne pare?”, gli chiede lo sposo (uno dei due, tanto è lo stesso) per farlo sentire più integrato. “Sì, carino ma ci sono troppi gay”, sentenzia con la stessa aria di sdegno che avremmo potuto leggere sul viso della regina Maria Antonietta finita per errore allo sventramento del maiale nella fattoria di un bifolco.

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Così senza accorgercene ci siamo trovati di nuovo davanti a uno Jonesco 2.0: la storia narra di un gay che si lamenta di troppi gay in un matrimonio tra gay. Puro teatro dell’assurdo nella messa in scena di quella che è l’ultima frontiera dell’auto discriminazione omosessuale.
Alla fine della recita, come si conviene, ognuno esprime il proprio giudizio sullo spettacolo e ci si interroga sul significato recondito, sul messaggio che l’autore voleva comunicare.
“Troppi gay in una festa di gay”. E quindi?

Come al solito, mai che l’appunto venga fatto da un etero, cosa che al limite sarebbe più plausibile. No. A farla sono sempre degli altri gay, con quell’aria un po’ blasé che si esalta solo in presenza di gruppi misti, come se la qualità di un ambiente si basasse solo sull’eterogeneità dei presenti. Quindi, volendo razionalizzare, mi verrebbe da interrogarli su quale sia la proporzione giusta perché una festa non sia troppo gay. 2 parti di etero, una di bisessuali e 4 di omosessuali? E dopo, che fai agiti bene e ci metti un’oliva?

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Insoddisfatti cronici, lamentosi di professione, critici per mancanza di argomenti, i rappresentanti di questa categoria hanno il codice genetico praticamente identico ai membri di un altro formidabile club, ovvero: “Quelli estranei ai giri”. Ma se questi ultimi hanno almeno la coerenza di evitare realmente “i soliti posti” i primi invece te li ritrovi sempre tra i piedi.
Una scena analoga a quella capitata alla festa di nozze infatti avvenne anche in coincidenza del compleanno di un mio ex. Il tizio, uno dei rappresentanti più esimi della categoria “O Signore, troppi froci”, si presentò alla festa che era già gremita (appunto di omosessuali). Si affacciò in terrazza, si diede un’occhiata intorno e con la punta del naso rivolta alla luna, senza neppure salutare il festeggiato, si dileguò non senza prima ribadire “ci sono troppi gay”.

I maligni, io in prima linea, lo ammetto, imputarono invece la sua ritirata al fatto che, tolto me, il festeggiato e i gatti certosini del padrone di casa, era stato già con tutti, quindi aveva poco da battere. Chi se ne lamenta solitamente ha più tessere di locali in tasca che Trump carte di credito nel portafogli, saluta e conosce chiunque, sempre con quella faccia appesa e il drink tra le dita, se ne sta lì volteggiando gli occhi lamentandosi per i troppi, soliti gay, eppure sempre per locali lo trovi, comportandosi esattamente come i bulimici che pur odiando il cibo non riescono a tenersi alla larga dai fast food.

di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti