Non è un paese per gay. O sì? - intervista scalfarottoBASE 1 - Gay.it Archivio

Non è un paese per gay. O sì?

Ivan Scalfarotto, da outsider delle primarie a vicepresidente del Pd, è in libreria con “In nessun paese. Perché sui diritti dell’amore l’Italia è fuori dal mondo”. L’intervista

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L’avevamo conosciuto cinque anni fa, quando a settembre 2005 si candidò da outsider alle primarie dell’Unione. Allora viveva all’estero, ma nel 2009 è tornato in Italia, si è presentato alle elezioni per il PD a sostegno della candidatura a segretario di Ignazio Marino, è risultato il primo dei non eletti a Milano e oggi lo ritroviamo vice-presidente del PD. E, soprattutto, autore con Sandro Mangiaterra di un libro intitolato In nessun paese. Perché sui diritti dell’amore l’Italia è fuori dal mondo (edizione Piemme, 304 pagine, versione cartacea 17,50 euro, disponibile in e-book a 9,99 euro). Il libro è una riflessione tra aneddoti e considerazioni politiche degli imbarazzanti atteggiamenti mostrati verso l’omosessualità e gli omosessuali dalla classe politica italiota. Le parti più avvincenti sono quelle che riflettono lo spirito insolito di Scalfarotto all’interno del panorama politico: in brevi pagine, Ivan traccia paralleli tra le sue esperienze personali e i disagi o i problemi di migliaia di altri cittadini omosessuali e non. E avendo una lunga esperienza all’estero legge tutto questo con lo sguardo di chi, come dice lui stesso, “vede con evidenza alcune caratteristiche che possono rientrare nell’invisibilità dell’abitudine per molti”.

Allora parlaci della situazione italiana secondo Ivan Scalfarotto in tema di diritti gay.
È una situazione molto particolare, che non ha paragoni con il resto d’Europa. Non solo per la totale assenza di qualsiasi strumento legale di tutela e di riconoscimento delle unioni di fatto, ma perché non esiste nessuna condanna, nessuno stigma nei confronti dell’omofobia. In Italia ci si permette liberamente espressioni e manifestazioni omofobiche che in qualsiasi altro paese europeo ci si vergognerebbe a fare, come nessuno farebbe mai affermazioni apertamente razziste pur pensandole. Da noi puoi dire tutto quello che vuoi su gay e donne, cose che in Francia o Germania ti costerebbero la poltrona, qui da noi un ministro può apostrofare i gay come “culattoni” su carta intestata del ministero e nessuno ha nulla da obiettare. Al contrario, se parli di uguaglianza in merito ai diritti gay sembri uno strano, uno che vuole mettere l’omosessualità su un piedistallo, mentre anche questa è una cosa considerata del tutto normale in Europa. Così se parli di due gay che si vogliono sposare, per tutti, anche per i Democratici, è meglio se ti limiti ai Pacs. Non sai quante volte quasi mi strozzo per non urlare la mia indignazione davanti a espressioni pronunciate con totale noncuranza che nascondono invece una pesante omofobia.

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Ma allora, chi te lo ha fatto fare di tornare in Italia?
Un po’ sono tornato proprio per questo. Sento il bisogno che anche in Italia si possa dire che chiunque deve potersi sposare con chi vuole purché siano entrambi adulti e consenzienti. Perché non si può parlare di questo, se invece ad esempio nessuno pensa più che i bianchi non si possano sposare con i neri o gli ariani con gli ebrei? Questo è un argomento centrale, di cui invece non si parla più. Vedo solo uno Stato lassista sui comportamenti pubblici, che lascia correre se non paghi le tasse o se fai un falso in bilancio, mentre si erge a ispettore nei comportamenti personali. Questo è intollerabile.

Ma tu stesso ammetti che questi atteggiamenti sono frequenti anche nel PD…
Questa roba non ha nulla di ideologico. Non è che il PD deve essere più coinvolto degli altri. Ci sono leggi in Europa che tutelano le unioni di fatto e che sono state approvate con governi di qualsiasi colore politico, anche dalla destra. Dobbiamo de-ideologizzare la questione: so che nel PD la mia voce è una minoranza, però nel nostro partito c’è democrazia, non abbiamo nomi e cognomi sulle bandiere, né quello di Berlusconi né quello di Di Pietro. Il mio contributo sarà minoritario ma è doveroso per portare il PD vicino a posizioni che sono di tutte le sinistre europee. Una voce di minoranza, grazie alla dialettica politica, può arrivare a essere compresa dalla maggioranza. In fin dei conti anche In nessun paese serve a questo: ho scritto questo libro con Sandro Mangiaterra che era completamente digiuno di questi argomenti e in un certo senso l’ho scritto per lui, per chi non ne sa nulla e comprendendo può capire l’importanza di difendere questa causa, non l’ho scritto per la comunità gay.

Comunità gay con la quale che rapporto hai?
Io ho fatto una scelta precisa: sono iscritto come tanti ad Arcigay e anche a Certi Diritti ma non ho mai avuto alcuna responsabilità nell’associazione. Sono un rappresentato, non un rappresentante: ho scelto di occuparmi di politica in un altro campo, di occuparmi di donne anche se sono un uomo, di precari anche se non lo sono, e anche di omosessuali ma non perché sono omosessuale. Nell’associazione, in quanto rappresentato, mi aspetto che l’associazionismo gay mi rappresenti efficacemente, come se fosse il mio sindacato, ma è una cosa distinta dalla politica. Mentre l’associazione si deve permettere il lusso di puntare al massimo, chi fa politica deve puntare al risultato: un esempio lampante è la legge sui Dico che è una legge pessima ma che forse avrei votato, perché prima di non votarla avrei dovuto pensare alle persone che sono senza diritti e che con quella brutta legge però qualche diritto l’avrebbero ottenuto. In Italia la distinzione tra associazione e politica non c’è stata, si è fatta molta confusione. Io ho molto apprezzato il fatto che Arcigay abbia deciso di prendere le distanze dagli schieramenti politici di ogni colore, loro devono rappresentare i gay di destra e di sinistra. Perciò ho compreso anche le critiche che Arcigay ha rivolto al mio partito, e ho cercato di rispondere spiegando.

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Credi che sia anche un po’ responsabilità delle associazioni gay se in Italia viviamo una condizione così arretrata?
Io credo che per i grandi cambiamenti serve sicuramente che ogni gay si mobiliti anche se non basta. Bisogna guardare con fiducia al futuro: la storia procede anche per strappi improvvisi, lo abbiamo visto con la fine dell’apartheid in Sudafrica, c’è un nero alla Casa Bianca. Spingere verso il cambiamento vuol dire fare politica, quindi anche discutere, scrivere libri. Bisogna avere fiducia che l’isolamento dell’Italia sia antistorico; non credo che il nostro paese possa mantenere questo atteggiamento a lungo. Il cambiamento può avvenire per diverse vie, forse nel nostro caso quella giudiziaria, con una sentenza della Corte Costituzionale, perché la classe politica è troppo poco coraggiosa e troppo vecchia per rivoluzionare i costumi.