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OSCAR WILDE, UNA VITA A TESTA ALTA

A cento anni dalla morte del grande scrittore e drammaturgo inglese, un ritratto dell’artoista che con la sua straordinaria capacità espressiva non ha mai smesso di affascinare. E che insegnava come “l’arte prescinde da ogni moralità”.

Cento anni fa, precisamente il 30 novembre 1900, moriva a Parigi, sotto falso nome, Oscar Wilde; poeta e scrittore, espressione dell’estestismo decadente, che ammaliò con la sua straordinaria capacità espressiva un’intera generazione di londinesi e di parigini, lasciando ai moderni la sua bruciante ironia ed una straordinaria capacità di analisi dell’animo umano.

Dopo essere stato fra le personalità dominanti nei circoli artistici e nei salotti mondani inglesi e francesi, anche grazie alle sue pose eccentriche oltre che ai suoi successi letterari, decadde agli occhi della classe dirigente, di cui Wilde era stato fino a poco prima l’idolo, per lo scandalo dovuto alla sua relazione col giovane ed efebico figlio del marchese di Queensbery. Quando nel 1895 salì sul banco degli imputati, Wilde era all’apice del suo successo, ed era circondato da un affascinante alone di poeta maledetto dovuto, soprattutto, al suo romanzo più famoso, “Il ritratto di Dorian Gray” (1891), che narra la storia di un giovane uomo, bello e dannato, che ottiene, dopo aver fatto un patto col diavolo, di rimanere eternamente giovane, vedendo ogni segno che il passare del tempo e i vizi potrebbero lasciare sul suo viso perfetto comparire invece sul dipinto che lo ritrae.

Gli atti del processo, passato alla storia come «Vittoria Regina contro Oscar Wilde» permettono di ricostruire nei dettagli quello che fu definito il “processo del secolo”, processo che suscitò molto scalpore, non solo in Inghilterra. Tutto ebbe inizio quando il marchese di Queensberry, padre di Bosie, il giovane amante di Wilde, scoprì la relazione tra i due. Infuriato, il marchese minacciò uno scandalo e provocò lo scrittore con un inequivocabile biglietto nel quale lo accusava di “atteggiarsi a sodomita”. A questo punto Wilde avrebbe potuto trincerarsi dietro la sua figura di marito affettuoso e di ottimo padre ed evitare lo scandalo. Invece, per il suo innato esibizionismo e per un certo gusto per il pericolo, querelò il marchese per calunnia, provocandone l’arresto. Il primo processo segnò l’inizio della rovina di Wilde. Il marchese portò a sua discolpa una serie di testimonianze che provavano l’omosessualità dello scrittore, mentre Wilde si trovò a doversi difendere da un’accusa di immoralità per alcuni suoi scritti. Wilde rispose ad essa spiegando che «l’arte prescinde da ogni forma di moralità», ma di fronte ai testimoni dell’accusa cominciò a perdere terreno. Infine, quando gli venne domandato se avesse mai baciato uno dei testimoni, Wilde rispose sdegnato: «Mio Dio no. Era troppo brutto», praticamente autoaccusandosi. Poche ore dopo fu arrestato per aver commesso atti immorali con persone del suo stesso sesso. Liberato un mese più tardi, abbandonato da tutti, non volle però lasciare Londra e attese il secondo processo che non arrivò, comunque, a nessuna nuova conclusione. Sarà l’ultimo giudizio ad essere fatale a Wilde, soprattutto per la testimonianza di un uomo, il quale ammise di aver procurato allo scrittore «ragazzi di scarsa moralità». Bosie nel frattempo aveva lasciato l’Inghilterra, anche grazie alla generosità di Wilde che non volle vederlo coinvolto nel processo. Nel maggio del 1897 lo scrittore fu condannato a due anni di carcere con lavori forzati che, in pratica, prevedevano l’annientamento del prigioniero, soprattutto nelle pessime condizioni di salute di Wilde. Lo scrittore invece sopravvisse, ma ormai minato nel fisico e nello spirito fu rilasciato tre anni più tardi. Allontanato da tutti, senza più la patria potestà sui figli, ormai senza più un solo vero amico capace di aiutarlo, dovette vivere in solitudine e sotto mentite spoglie a Parigi, dove si era trasferito, e dove, per le conseguenze di un’infezione all’orecchio contratta in carcere, lo colse la morte.

L’arte dell’impertinenza. Divagazioni, pensieri, paradossi, delizie