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Our Vast Queer Past, la San Francisco gay in mostra a Castro

Nella “Sodoma sul mare”, come veniva chiamata San Francisco, c’è il più vasto archivio gay del mondo. Tra le curiosità si può ammirare la prima birra gay e le confezioni di fiammiferi dei locali.

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San Francisco – Lo chiamano il "queer Smithsonian" ed è un piccolo museo – un ampio stanzone con corridoio – sulla diciottesima strada, ripida traversa della rutilante Castro Street, a fiancheggiare baldanzoso un affollato discopub gay piuttosto cult, il Badlands. Stiamo parlando del GLBT History Museum, l’unico museo di storia esclusivamente queer degli Stati Uniti. Gestito dalla GLBT Historical Society, depositaria del più vasto archivio gay del mondo (il suo claim è "a home for our history", ossia "una casa per la nostra storia"), ospita fino a fine anno un’interessante mostra di ricostruzione storica, Our Vast Queer Past: Celebrating San Francisco’s GLBT History, curata da Gerard Koskovich, Don Romesburg e Amy Sueyoshi in onore del 25esimo anniversario della GLBT Historical Society.

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Più che raccontare in maniera esaustiva la storia gay di San Francisco, si intende dare spazio a personaggi minori che hanno contribuito a crearne l’ossatura quali il travestito Henry W. Dieckoff, fondatore dell’Imperial Court, un’organizzazione strutturata per la raccolta di fondi pro gay, e il giapponese Jiro Onuma (1904-1990), antesignano della fotografia erotica maschile, prigioniero politico per interi decenni.

Si glissa invece sulla cosiddetta Sodoma sul mare come veniva chiamata San Francisco già all’inizio del XX Secolo. La popolazione gay ebbe un notevole incremento durante la Seconda Guerra Mondiale: San Francisco era un importante punto di spiegamento delle truppe e i soldati gay potevano scegliere tra numerosi bar e luoghi d’incontro. La consapevolezza sociale inizia però solo negli anni ’50 con la nascita di gruppi associativi glbt quali la Mattachine Society, la Tavern Guild e la Daughters of Bilitis, la prima organizzazione socio-politica lesbica degli States.

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La mostra approfondisce le vicende politiche a partire dallo spartiacque rappresentato dalla rivolta di Stonewall del 1969, evidenziando il ruolo chiave di Jim Foster, democratico apertamente gay, nella campagna elettorale del Presidente George McGovern. Del lume tutelare Harvey Milk (1930 – 1978) sono raccolti in una bacheca alcuni curiosi memorabilia quali un megafoto originale e vari oggetti personali (qui è un vero simbolo della riscossa politica glbt: all’uscita dal metro si viene accolti dall’Harvey Milk Plaza e nel diner vicino al museo, Harvey’s, viene proiettato in loop il film di Gus Van Sant Milk vincitore di due Oscar).

Il primo candidato manfiestamente gay fu però Josè Sauria, drag queen che si esibiva al Black Cat Cafè e si propose alle elezioni amministrative senza vincerle. Molto ricco è il materiale audiovisivo in cui possiamo rivedere le immagini della White Night Riot, notte di scontri dopo la mite condanna a Dan White, assassino di Harvey Milk e del sindaco George Moscone.

Un giusto spazio commemorativo è riservato alla pandemia Aids: si evidenzia il grande lavoro della San Francisco Aids Foundation e del Center for Aids Prevention Studies presso la UCSF Medialc School (l’Aids Emergency Fund nacque nel 1982 come San Francisco Aids Fund).

Tra le curiosità si può ammirare la prima birra gay Q, una collezione sterminata di confezioni di fiammiferi dei locali gay storici e alcune suppellettili originali quali insegne e sportelli di armadietti delle prime saune gay di San Francisco, ora vietate (ne è rimasta una a Berkeley, la Steamworks).

Se capitate nella fresca "Sodoma su mare", Our Vast Queer Past merita una visita veloce.