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‘Piccola patria’, omofobia e razzismo nel Nord-Est di Rossetto

Sarà presentato domani al Festival di Rotterdam l’esordio del documentarista padovano sull’amicizia fra due ragazze che ordiscono un vile ricatto. “Ma il Nord-Est non è più omofobo che altrove”.

Perché il titolo ‘Piccola patria’?
Inizialmente doveva intitolarsi “Braci coperte”. Ho scelto “Piccola Patria” perché cercavo un borgo dove ambientare il film: è quella la piccola patria, non volevo neanche parlare del Nord-Est ma di quel chilometro quadrato che è una piccola patria dell’anima.

Hai dichiarato che questa storia sarebbe potuto essere accadere in una qualsiasi provincia del pianeta ma il tuo sguardo è fortemente caratterizzato nella realtà del Nord-Est ed è lucido e spietato. Ritrae una Babele razzista, imbestialita e omofoba…

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Ho calato tutto nel Nord-Est che poi prende forma grazie alla lingua del film, il dialetto che viene parlato, per creare un quadro molto vero, collegato a cose che hanno ispirato la storia del film a me e a Caterina Serra (cosceneggiatrice, ndr), entrambi veneti. Abbiamo vissuto una miriade di storie simili. Lo sceneggiatore Maurizio Braucci, coautore di ‘Gomorra’, è subentrato molto tardi, quasi fosse uno sguardo esterno per maneggiare le scene in termini di scrittura quasi definitiva prima che le girassi. Lo specifico Nordestino ha un po’ queste caratteristiche: è una società che tende all’isolamento, un po’ balcanizzata con punte violente. Ci sono situazioni relazionali piuttosto estreme. Ma non è chiusissimo e musone.

A un certo punto un personaggio secondario sbotta: “Sei una mezza femmina come quel ricchione che ho visto in piazza prima. Mi fanno schifo”. Secondo te l’omofobia nel Nord-Est è un fenomeno che si percepisce?
Qui, contrariamente ad altre zone del Paese, ci sono delle dinamiche di alcuni grandi centri, c’è una sorta di civiltà urbana diffusa, la città si è estesa senza confini. Il Nord-Est non è più omofobo che altrove. L’omofobia raccontata in ‘Piccola Patria’ è una delle tante debolezze dei personaggi. È una cultura leghistoide che in Veneto è molto diffusa: una delle componenti è sicuramente mettersi la medaglietta dell’omofobia.

Che cosa conosci del mondo queer?
Sono etero ma il mio locale preferito di Bologna era il Cassero che frequentavo già a diciotto anni. Ero molto amico di Beppe Ramina.

Il rapporto tra Luisa e Renata sembra qualcosa di più di una semplice amicizia, all’inizio del film, ma poi sembra quasi trattenuto visivamente… Che natura ha questo rapporto che poi scatena la gelosia?
Mi sono ispirato a figure che ho incontrato. Ho cercato di riportare quel qualcosa che è il miracoloso momento di una certa età in cui ci sono scoperte reciproche sull’appartenenza di genere, le scelte che si possono fare, questa vicinanza un po’ morbosa che va fondendosi con l’età adulta.

Sembra però una parte un po’ monca, il loro rapporto non è approfondito. Ci sono altre scene tra le due ragazze che poi non hai montato?
Avevo idea di svilupparlo ma mentre giravo pensavo che andasse sottratto. Volevo fare un affresco onnivoro, forse uno dei limiti del film è che ci sono troppe cose. Avevo girato la scena del ricatto in due modi differenti: in quella non montato c’era Luisa che debordava e cercava di capire davanti a Renata che cosa mettere in scena con l’uomo. In un’altra Luisa faceva una doccia seminuda e cercava di abbracciare e spogliare Renata su un letto d’albergo.

Uno dei pochi personaggi positivi è quello interpretato da Lucia Mascino, per una volta ‘mamma perfetta’, una sorta di faro morale…
Ho conosciuto Lucia studiando con lei recitazione, siamo amici. Pensavo che Lucia potesse incarnare bene questa figura di madre-àncora. Sapevo che lei avrebbe potuto portare qualcosa in più.

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Nel film è interessante il rapporto tra i giovani, inquieti e frustrati, e gli adulti, disillusi e passivi. È bellissima la frase dell’anziano: “Finché siamo vivi abbiamo tutti la stessa età”. Ma nel film le due generazioni non comunicano. Vuol essere una riflessione sociologica?
Sì, è una delle tesi del film. È una delle caratteristiche sociologiche del territorio. E la vampirizzazione dei corpi giovani da parte degli adulti è un tema forte e importante. Volevo che emergesse.

È costante il senso di minaccia che sembra piombare dall’alto e rende molto bene l’idea di un Nord-Est, ma non solo, in crisi…
È stata pensato in sceneggiatura. L’incombenza della crisi, del futuro che non è più lo stesso che in passato, doveva prendere corpo in movimenti all’interno del film più drammaturgicamente pertinenti, cioè relativi all’idea del ricatto.

È molto interessante l’ibradazione stilistica tra documentario e finzione: sembra che la finzione s’innesti nella realtà un po’ come le brutture architettoniche irrompono nella natura.
Ho una formazione francese, sono cresciuto con l’idea del cinema documentario non come genere di serie B. Sono cresciuto imparando il cinema con un’idea di cinema aperto, lo spartiacque non era importante. Non mi sono mai sentito ‘in palestra’ per passare alla finzione. Campagna e città sono una mia ossessione, quasi tutti i miei film parlano dei luoghi liminari fra di esse.

C’è un po’ di Bruno Dumont e la sua capacità nel ritrarre le realtà rurali…
Apprezzo molto il suo lavoro. Forse è un po’ inconsapevole ma ho lavorato per anni a Parigi, mi sono immerso in qualcosa che è stato formativo anche per Dumont.
La colonna sonora è molto particolare, con canti corali alpini in dialetto veneto. Hai collaborato col maestro e compositore vicentino Bepi De Marzi…
Conoscevo i suoi pezzi. Ho scelto ‘L’Aqua ze morta’ degli anni ’70 che parla di un territorio in cui le piazze sono luoghi di pena, descrive un certo degrado. ‘Joska la rossa’ è invece un vecchio canto alpino per una giovane prostituta. Maria Roveran è anche una cantante e paroliera, ha scritto due canzoni che si sentono nel film (‘Indrio soea’ e ‘Va’, ndr) mentre giravamo.

Come vive Padova la scomparsa del tuo collega e concittadino Carlo Mazzacurati?
Conoscevo Carlo, ma ho vissuto poco a Padova e non ci siamo frequentati molto. La città lo amava molto, lui ne era parte come nessun uomo di cinema, nel passato e nel presente, lo è stato ed è.