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QUANDO DIRE: SONO GAY!

La paura di quel che pensa la gente, il timore verso i propri genitori; dove trovare la forza per superare tutto e finalmente aprirsi?

IO sono gay ho 18 anni e è da 2 o 3 anni che mi sono reso conto fino in fondo della mia sessualità! Ho un mio amico bisex con cui spesso ho rapporti ma la mia condizione mi rende fragile di fronte alla gente: ho sempre paura di cosa la gente può pensare di me e mi sento spesso a disagio! Anche con i miei genitori mi vergogno vorrei entrare in questo argomento ma non ci riuscirò mai!

La mia domanda è questa: è giusto o sbagliato rendere pubblica la propria sessualità? Non per usarla come scusa a certe situazioni solo per farlo sapere agli altri? Ad esempio nel lavoro comporterebbe a grossi problemi anche se non è giusto, ma non possiamo nemmeno tenere nascosta questa condizione! Io trovo un grande disagio: a volte penso che ho questo problema, ma un modo per risolverlo c’è sicuramente, e un attimo dopo mi cade il mondo addosso e durante la notte mi metto a piangere come un bambino!

Grazie

Spice.

mi spiace sentirti triste alla fine della domanda, ma come saprai anche piangere permette un contatto profondo col proprio sé che non va represso.

Per il resto avverto, leggendoti, una grande energia!

Sì proprio come quando io avevo 18 anni! Solo che non ero corrisposto, ma è durata poco, poi ho lasciato perdere… troppo complicato.

Il problema lo poni, da come scrivi, nel dirlo o no alla gente, agli altri in generale, e in particolare ai genitori “…non ci riuscirò mai!”.

Partiamo dai genitori; non raramente è più difficile parlarne con loro che con altri fuori dalla famiglia. Le comunicazioni e le paure dei genitori, che generalmente oggi NON vogliono un figlio gay come anche per quella parte della società cosiddetta omofobica, che rifiuta o etichetta l’omosessuale, diventano difficili, complesse e gli adolescenti gay fanno sicuramente una fatica in più, oltre a quelle tipiche di quell’età, per definirsi, riconoscersi, comprendersi, raccontarsi.

Nascondere, in linea di principio ma anche in pratica, significa anche togliere, sottrarre, e quindi non permettere al proprio sé di dispiegarsi, di espandersi. Chi ne fa le conseguenze è l’autostima, che si riduce, si abbassa e il tono dell’umore… depresso.

Perché abbattersi quando invece, per l’esperienza di molti, credimi, mia personale, e anche per quello che ne dice la letteratura scientifica, sono invece eventi, quelli che riguardano l’apertura di sé nella propria vita che, seppur faticosi e dopo l’inevitabile crisi, nel tempo invece verranno ricordati come cambiamenti fondamentali e che nella maggior parte dei casi permettono futuri migliori, più sani e affermativi?

Difficile da credere, difficile trovare quel coraggio per anche un po’… fregarsene.

Anche nella sfera “lavoro”, di solito può avere dei vantaggi, ma la situazione lì forse, a mio avviso, potrebbe essere più complessa. E’ anche vero che nel settore lavorativo non c’è una necessità, e neanche un principio, per cui la vita privata debba essere “dichiarata”. Piuttosto credo che la questione vada contestualizzata caso per caso.

Nei rapporti interpersonali, di amicizia, di gruppo, quello del coming out, del dirlo, è una questione, secondo me, d’intimità e di fiducia. Soprattutto, la questione va considerata se ci si vuole “aprire” all’altro/i per motivazioni di stima e di approfondimento della relazione stessa. Mi spiego meglio. Se hai un amico o un’amica da diverso tempo, col quale parlate di tutto, vi aiutate sui vari disagi della vostra età, potrebbe (e lo è senz’altro!) essere riduttivo non dire di sé e delle proprie questioni personali, intime. Potrebbe accadere per esempio che lei/lui ti parli delle sue péne o delle sue gioie per ore… e tu lì che ascolti da buon amico. Poi cosa dirai di te? Gli parli del tuo amico bisex, di com’è la vostra attuale situazione? Se non lo farai, ovviamente la relazione con la tua/o amica/o è dimezzata o carente. Uno trova sostegno, uno si apre e si sente ascoltato e compreso, l’altro no! E qui lo scambio viene ad essere deficitario, o a senso unico. C’è un blocco. Ma allora che livello di amicizia è? Quale grado d’intimità ha?

Ovviamente ogni coming out, ogni espressione di sé comporta dei rischi, per esempio la non accettazione, la critica basata sui pregiudizi unita allo sforzo (spesso inappropriato pur se prevedibile) di chi ti sta intorno nel tentare di “portarti sulla retta via”.

Ma credo che nella vita certe scelte prima o poi si dovranno fare, per valutare chi ritieni sia un vero amico.

E’ esperienza comune invece, sia per il coming out con i genitori, sia con gli amici, è che esprimere se stesso porta sempre, prima o poi, ad una migliore comunicazione, e soprattutto il tuo sé ne rimarrà strutturalmente beneficiato.

Un feed-back (feed= cibo, nutrimento, back=indietro), mio personale che voglio offrirti – e se non ti suggerisce niente cestinalo pure e poi “svuota”, – è che fino ad oggi, nei diversi contesti lavorativi, non ho mai avuto difficoltà dopo essermi espresso circa la mia identità (quando la cosa aveva un senso ovviamente, non è che ogni volta che mi presento dico: “Ciao, sono Maurizio e sono gay!”); ti dirò di più, il coraggio di essere autentico mi è tornato sempre sottoforma di conferma e stima.

Spero che questa situazione rimanga tale, anche se cambieranno (forse) i tempi politici e questo un po’ mi preoccupa, ma non mi fa paura anzi sorrido, nel senso che “mostro i denti!”

di Maurizio Palomba