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Randy Berry, l’ambasciatore di Obama sui diritti LGBT

E’ a Roma. Repubblica lo intervista e noi ve ne proponiamo alcuni passaggi.

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Randy Berr non è un diplomatico qualunque. Ha 50 anni, è un vero e proprio diplomatico di carriera e nei suoi precedenti 23 anni di attività non si è mai occupato specificamente di queste tematiche. Ma da poco Randy è inviato speciale della Casa Bianca sui diritti delle persone LGBT: “non facciamo campagna per i matrimoni gay, o per le adozioni in coppie omosessuali – spiega a Repubblica -. Del resto questa è una questione nuova anche per gli Usa. Ma sul fatto che le persone non debbano essere perseguitate per la loro identità non dovrebbero esistere controversie.” Una figura così, del tutto nuova nel panorama della diplomazia internazionale, l’ha voluta lo stesso Presidente Obama, quello che due giorni fa si è fatto intervistare ed è finito sulla copertina della più nota rivista gay americana, Out Magazine, che lo ha definito “alleato, eroe, icona. Vediamo cosa ha dichiarato.

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La prima domanda è su Papa Francesco e sul contributo che lui sta dando su questi temi: “Se guardiamo alle tematiche della violenza e della discriminazione, che sono quelle su cui mi concentro io, penso che Sua Santità stia conducendo la Chiesa sui suoi principi naturali: anche la Chiesa non accetta le violenze e le discriminazioni contro i membri della sua comunità” Quali sono le emergenze che ha individuato nei moltissimi paesi che ha visitato in questi mesi? “L’Italia è il trentesimo Paese che ho visitato in questi ultimi sette mesi. I Paesi che mi preoccupano di più sono quelli che mantengono una forma di discriminazione legale, che hanno leggi che criminalizzano l’appartenenza alla comunità LGBTI e impongo pene. E non sono pochi, almeno 75 Paesi hanno questo tipo di leggi, sparsi un po’ in tutto il mondo. E’ un tipo di codice abbastanza diffuso in Africa, nel Medio Oriente, in parti dell’Asia. Con i governi di questi Paesi abbiamo cominciato a discutere di come si possano eliminare queste leggi, il che è accaduto qualche volta perché in realtà nella maggioranza di questi Paesi queste leggi non vengono davvero applicate. Ma il solo fatto che questi codici esistono crea un clima di tolleranza verso le violenze e le discriminazioni contro la comunità, anche perché non esiste una legge specifica contro i crimini d’odio.”

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Ancora. Come ha diversificato il suo approccio, le sue strategie, nei diversi contesti in cui si è trovato? “E’ assolutamente cruciale avere un approccio efficace rispetto al luogo dove ci si trova, questo è un tipico caso in cui non si può applicare un modello di intervento univoco. Ci sono casi in cui è importante la religione, altre volte ci sono valori e tradizioni che giocano un ruolo decisivo, oppure ci sono contesti in cui ci si può concentrare sul lato economico, perché il business è un grande alleato quando si combatte per un’eguaglianza globale, ma tutto dipende dal paese in cui si sta lavorando”. Si è trovato anche a contatto con Ong o gruppi che lavorano sul terreno, spesso in modo clandestino e con minacce di persecuzione? “Sì, questo è un tratto comune di tutte le missioni che ho fatto finora: conoscere e ascoltare i gruppi della società civile.

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Lei è di ritorno dai Balcani. Proprio in questi giorni la Ue ha reso note le ultime valutazioni sul processo di allargamento. Uno dei criteri che hanno contato di più in questa fase è proprio il rispetto dei diritti della comunità LGBTI. Pensa che questo sia un percorso efficace per migliorare la situazione nell’Europa nel suo complesso? “Credo che sia una parte fondamentale dell’equazione. Nei cinque Paesi balcanici che ho visitato sono rimasto impressionato dal livello di leadership politica che ho trovato. C’è la consapevolezza che legiferare per garantire i diritti di tutti i cittadini non è solo la cosa giusta da fare, è anche indispensabile per potere entrare in Europa.”

Ora lei è in Italia, dove la situazione legislativa è ancora molto indietro – rispetto ad altri Paesi europei ad esempio – sul tema dei matrimoni omosessuali, delle adozioni all’interno delle coppie omosessuali, e così via. Sono temi che ha sollevato durante i suoi incontri qui? “Ho incontrato esponenti politici e attivisti, e mentre sono qui in realtà sto più che altro informandomi sulla situazione. Non posso ancora trarre conclusioni, ma posso dire qualcosa che vale un po’ per tutti i Paesi. Innanzi tutto è necessaria una leadership consapevole e coraggiosa, e poi bisogna inquadrare il dibattito su queste questioni nel modo giusto: con chiarezza, apertamente e – detto francamente – in un modo un po’ meno emotivo. Si tratta semplicemente di blocchi di costruzione di una politica di eguaglianza, non dovrebbe costituire un tema troppo emotivo”.

rf4Ambasciatore Berry, un incarico del genere ha anche connotazioni personali molto forti. Cosa l’ha spinta ad accettare? “Anche io sono un membro della comunità LGBTI. Sono un americano normale, sono cresciuto in un’epoca in cui esisteva certo discriminazione ma abbiamo anche trovato amici e alleati sul nostro cammino, abbiamo visto il progresso avanzare. Quando mi hanno offerto questo incarico, ho accettato anche sulla spinta della mia esperienza personale. Perché ora sono anche padre. Sto allevando due figli e mi si offre l’opportunità di rendere il mondo un posto migliore per far crescere i miei figli, e i figli di chiunque. E’ un obiettivo concreto per me, e dovrebbe essere condiviso da migliaia, milioni di genitori nel mondo: volere un mondo migliore per i propri figli. Questa è la mia chance”.