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SCHENA: GLI ERRORI DEL PRIDE

Roberto Schena, direttore della rivista gay Guidemagazine, denuncia il boicottaggio di alcune testate, alcuni locali e altre realtà gay da parte degli organizzatori del Pride milanese.

Roberto Schena, 46 anni, milanese doc, è redattore della Padania, dove sarà a breve promosso capo della redazione cultura, sport e spettacolo. Da due anni è direttore di Guide Magazine, una delle riviste gratuite gay italiane. 15.000 copie stampate, distribuzione in tutta Italia, Guide Magazine ha cambiato recentemente proprietà. Schena ha fondato anche la rivista Pride, di cui è stato direttore per i primi nove numeri.
Roberto, tu eri a Milano, al Pride. Che impressione hai avuto?

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Beh, sono rimasto molto spaventato dalla gestione del Pride. Una gestione totalmente parziale, sia dal punto di vista dei rapporti commerciali, sia da quello dei rapporti politici. Se non fosse stato gestito in questo modo, probabilmente avremmo avuto un numero di partecipanti doppio se non triplo.
Perché parziale?
Il mondo gay avverte un interessamento pesante della sinistra su tutto il sistema della vita gay: nell’editoria, nei locali, nei circoli e nei pride. Il mondo gay lo avverte sicuramente, e non gli sta affatto bene. Ha ragione. Il tema è decisamente interpartitico, non è che sia apolitico, ma è proprio interpartitico; supera di gran lunga i singoli partiti, è un tema universale, come si può non comprenderlo? Il coordinamento Arcobaleno, che ha gestito il pride milanese, in particolare, ha escluso Guidemagazine e Babilonia, a priori, senza mai prendere contatti né con noi né con Babilonia. Anche Gay.it è stata esclusa. Anzi, ha privilegiato il rapporto con la rivista Pride, anche se so che il rapporto perfino in questo caso non è stato privo di problemi. Tre testate gay su quattro sono state escluse a priori, senza dare spiegazioni. E’ la follia. Ho chiesto ripetutamente di far parte del coordinamento Arcobaleno come direttore di Guidemagazine, credevo che fosse un mio diritto.
Sul Pride milanese noi abbiamo fatto un’inchiesta due giorni prima, da cui si evinceva che da tutta Italia erano soltanto tre i pullman organizzati. Concordi che questo è il primo Pride in cui le associazioni abbiano contato poco?
Concordo pienamente. Il 23 a Milano c’erano moltissime persone perché è stato sufficiente il richiamo della manifestazione nazionale, per far venire tanta gente e perché la voglia di scendere in piazza, di fare festa è tantissima, e non appena è stato trovato lo spunto c’è stata subito l’ adesione spontanea della gente. 50.000 in piazza era già un numero molto superiore a quello più roseo previsto, ma non bisogna dimenticare tutti i milanesi che facevano da alone e la loro simpatia. Hanno partecipato in un modo o nell’altro almeno 2-300.000 persone perché c’è stato uno stupendo coinvolgimento della città. Quindi è stato sicuramente un grande successo. Invece va criticata la gestione. Non si deve più ripetere un Pride così. Non si può più ripetere. D’ora in poi, devono essere coinvolte tutte le associazioni, tutti coloro che operano in questo campo, a iniziare dai locali e dalle riviste: almeno durante i pride la concorrenza deve essere messa rigorosamente da parte per rispetto di un principio morale più alto.
A chi ti riferisci?

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C’è stata una gestione troppo parziale, che ha favorito le ragioni commerciali di una rivista sulle tre nazionali. Di fatto, sono stati favoriti soprattutto quei locali che fanno parte del circuito più interno alla rivista Pride; a parte quattro o cinque eccezioni (le feste da qualche parte dovevano pure essere fatte), tutti gli altri locali sono stati esclusi. Noi di Guidemagazine avevamo la festa del nostro quinto compleanno all’After Line: non l’hanno neppure inserita nel programma. Queste discriminazioni interne al mondo gay sono intollerabili, pesano come macigni e avranno la risposta che meritano.
Questi quindi sarebbero i tentativi di strumentalizzazione commerciale, vediamo quelli politici.
La strumentalizzazione politica è di una parte sola e lì è stata ancor più evidente. Lì c’è stato un pesante intervento della sinistra: Ds e Rifondazione. L’onorevole Titti De Simone è di Rifondazione e può fare tutti i discorsi che vuole. Il problema è che mancavano gli altri. Perché non è stato invitato uno dell’area del Polo? Perché il Pride non è stato gestito in modo tale che si coinvolgessero anche le forze laiche del Polo? Almeno tentare di portare un personaggio rappresentativo, e soprattutto di presentare meglio il messaggio importantissimo che ha mandato il presidente del Senato.
Il messaggio di Pera è stato letto, credo…
Io francamente non me lo ricordo. L’onorevole Grillini lo ha solo citato en passant nel suo intervento; è probabile che consista in appena due righe, ma se il testo non è stato letto per intero si tratta di un errore gravissimo. Peraltro non l’ho letto per intero da nessuna parte, né sui giornali – forse mi è sfuggito, ma non credo proprio – neanche su Gay.it, o su Noi.it. Ormai è un giallo: chi ha il testo originale? A chi è stato mandato? Nessun organo di stampa gay ha probabilmente il messaggio per intero del presidente del Senato. E’ come se fosse pesata una censura dovuta a un palese imbarazzo di averlo inaspettatamente ricevuto. E’ questa la verità? Stesso discorso per Albertini. E’ stato giusto – l’ho fatto anch’io – contestare Albertini (nel numero di luglio Guidemagazine pubblicherà un duro dossier contro di lui) e fare il sit-in sotto Palazzo Marino, però non si può dire, come ha fatto Arcigay, “votate l’Ulivo” quando poi l’anno scorso Rutelli ha fatto esattamente la stessa cosa.
Che valutazioni dài di Arcigay?

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Non è stato bello che Sergio Lo Giudice abbia dato indicazioni di voto sull’ Ulivo. Era giusta la posizione di dire “votate per i candidati gay”, io l’ho appoggiata su Guidemagazine. Ma fare di tutta l’erba un fascio, non criticare neppure il programma dell’Ulivo, è pazzesco: il programma ulivista dice no all’eutanasia, niente famiglie di fatto, la donna vista soltanto nell’ambito della famiglia. Non si parla mai di Stato laico e di valori laici; si fa riferimento più volte alla cultura cattolica del paese. Sembra un programma revisionato dal cardinale Sodano. I gay? Per il programma di Rutelli non esistono, spariti. Se lo vadano a leggere. E su quel programma lì nessuno ha detto niente durante la campagna elettorale. Così come nessuno dell’Arcigay si è fatto sentire, per esempio, quando Castagnetti ha proposto la mozione contro le unioni di fatto al Partito Popolare Europeo, che invece è passata lo stesso. Ma è stato un italiano, è stato Castagnetti, uno dell’ Ulivo a farsi promotore della mozione contraria.
Con Buttiglione…
Sì, ma soprattutto Castagnetti e ci teneva anche molto a far presente che era stato lui a promuovere la mozione al congresso del Partito Popolare Europeo. E’ vero, ci sono state delle proteste eccetera, ma nessuno, che io sappia, è andato a fare un sit-in sotto la sede del partito popolare, nessuno si è sognato di denunciare la sua presenza nell’Ulivo, di polemizzare con i rutelliani o con i Ds per il programma bigotto dell’Ulivo. La reazione, a parte gli articoli di continua denuncia apparsi su Guidemagazine, è stata debolissima.
Che valutazione dai della posizione di Arcigay sul Pride milanese?
Arcigay ha avallato questa gestione, politicamente e commercialmente parziale. Io ho protestato con il presidente nazionale Sergio Lo Giudice, per la totale disparità di trattamento e per la gestione stessa. Però non ho sollevato mai polemiche durante lo svolgimento, per amore di chi stava lavorando in buona fede. Ma è stata Arcigay, che fa parte del coordinamento Arcobaleno, ad avallare questa situazione. Non è stato un fallimento il Pride perché la voglia di partecipare della gente era tanta, e sicuramente poteva essere molto più grande, molto più importante e coinvolgere ancora di più la città. A uno dei dibattiti più importanti, quello che si è tenuto alla Camera del Lavoro organizzato da Arcigay Nazionale, con diversi rappresentanti del governo e deputati europei, c’erano pochissime persone, in tutto una decina. I dibattiti che hanno organizzato non hanno saputo coinvolgere la città. Si è tenuto tutto ai margini, proprio perché si voleva controllare lo sviluppo della situazione.
Gay.It è stato attaccato per la scelta di accettare la pubblicità di Forza Italia. Che ne pensi?
Sono assolutamente indignato. Ha fatto malissimo Sergio Lo Giudice a non difendere il vostro direttore Alessio De Giorgi dagli attacchi per l’ importante banner di Berlusconi. Lo Giudice avrebbe dovuto arrivare a dare le dimissioni pur di difenderlo. Avrebbe dovuto mettere la sua carica sul piatto della bilancia. Questo sarebbe stato l’atteggiamento corretto, e non accettare che una risorsa come Alessio De Giorgi fosse allontanata dai vertici di Arcigay. Perché così l’Arcigay dimostra di essere solo una federazione collegata di volta in volta ai Ds o a Rifondazione, a seconda di come tira il carro. Ora io voglio bene ai Ds e voglio bene anche a Rifondazione, però tutti devono rendersi conto che il mondo gay è enormemente più vasto e che almeno la metà dei gay, se non di più, ha votato per Berlusconi, non per l’Ulivo. Dobbiamo impegnarci tutti a dare una prova di democrazia, o sarà il fallimento.

di Christian Panicucci