Sesso a rischio. Quante volte è capitato? - mazzini1dic07BASE - Gay.it Archivio

Sesso a rischio. Quante volte è capitato?

Fare sesso con un sieropositivo non è una follia: basta abituarsi ad usare sempre le stesse precauzioni, chiunque ci troviamo di fronte. Per difenderci dalle malattie, non dalle persone.

Primo dicembre: giornata in cui si ricorda, si ammonisce, ci si raccoglie stretti. Per i più giovani è una giornata come tutte le altre, ma per chi ha perso amici o compagni non potrà mai esserlo. Chi si illude che il peggio è ormai alle spalle troverà noioso parlare di prevenzione, perfino menagramo. Ma il fiocchetto rosso, il preservativo e tutti i discorsi di questi giorni sono ancora una cosa seria, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale.

Tempo fa commentavo con un amico sieropositivo un articolo allarmistico in cui era riportata una testimonianza diretta. «Non è affatto così tragico, ci si può convivere benissimo», mi confessava lui, «ma forse è meglio che si usino questi toni, così almeno le persone stanno attente». Io gli risposi che poteva essere ancora più utile la sua intelligente leggerezza (non superficialità): non per abbassare la guardia ma per mostrare che la vita non è finita, e che si resta una persona come le altre, non un appestato da tenere lontano.

D’altronde, quante volte sarà capitato a tutti noi di fare sesso con un sieropositivo? Se ce lo avessero detto un secondo prima forse ci saremmo bloccati. Eppure sappiamo che nessuno (o quasi) ha la smania di presentarsi prima di fare sesso: «Piacere, sono sieropositivo». Alcuni su internet lo specificano, ma sono mosche bianche: aprirsi agli altri non è sempre gratificante.

Tempo fa venne a casa mia un ragazzo carino che doveva incontrare un mio coinquilino ma finì per essere dirottato su di me. Mi regalò dei biscotti e un sapone, di quelli coloratissimi dal prezzo inversamente proporzionale all’utilità e alla schiuma sprigionata. Prendemmo il tè insieme, chiacchierammo a lungo e poi facemmo sesso. Qualche sera dopo mi invitò a cena in un bel ristorantino. Mentre stavo per addentare il primo boccone mi disse che era sieropositivo.

Non lo fece con l’aria di volermi sorprendere e vedere che faccia facessi. Sembrava piuttosto che parlasse di un’altra persona o, meglio ancora, che mi stesse dicendo che anche lui aveva studiato allo scientifico o che sua sorella era separata. Per cui feci lo sforzo di adeguare il mio comportamento: ripensai ai miei cinque anni di liceo, alle relazioni turbolente di mia sorella e con estrema naturalezza – dopo un brevissimo istante con la forchetta sospesa in aria – misi in bocca, masticai, inghiottii.

«In fondo», mi dicevo, «non ho commesso imprudenze, quindi non ho nulla da temere. Non serve comportarsi come una mamma iperprotettiva che non manda i figli a scuola paventando un’epidemia di pidocchi. Certo, l’Aids è più grave, ma io sono un adulto e so che non rischio nulla a parlare con lui, a mangiarci assieme e nemmeno a farci sesso: devo proteggermi sì, ma dal virus, non da lui». Tutto questo mentre parlavamo ovviamente di altro, come se nulla fosse.

Le persone possono essere positive in tante cose, non smettono di esistere perché si ritrovano addosso un marchio. Così, se ci si innamora di una persona contagiata dal virus, questo non fa di noi dei potenziali malati e nemmeno della coppia il trionfo della castità. L’amore ignora le assurdità pontificie e l’attrazione può sfogarsi in piena libertà, basta un po’ di cautela.

Anche perché, come dicevo in precedenza, sicuramente ci sarà capitato tante volte senza saperlo (e tante altre ci capiterà). E se alcuni sono estremamente cauti e hanno a cuore la nostra integrità anche senza dover rivelare tutto, quando invece ci troviamo di fronte a persone spregiudicate e indifferenti alla salute altrui, sta tutto a noi. Divertirsi finché si vuole, ma senza commettere sciocchezze.

Non è un caso che alla domanda: «Non hai paura delle malattie?», che mi viene regolarmente posta quando racconto la mia esperienza di prostituto, invariabilmente rispondo che «le malattie non le portano i soldi ma l’incoscienza». Perché se si fa sesso con uno che non ci piace ma paga, di solito ci si lascia andare molto meno che con un perfetto sconosciuto molto attraente al quale non chiediamo una lira. O no?

Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.

Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui

di Flavio Mazzini