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Tel Aviv: la gioiosa carica dei 30.000

Una città aperta, sicura, colorata e liberal ha accolto il Gay Pride israeliano di quest’anno. Carri e musica per le strade e poi tutti in spiaggia senza noiosi discorsi dal palco.

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Non c’è soddisfazione migliore che partire per un viaggio e lasciarsi sorprendere violentemente dalla cultura che trovi, la società che scopri, le persone che conosci, la qualità della vita che incontri, le libertà che assapori. In fondo, viaggiare è proprio questo. Così è Tel Aviv.
Quando dici agli amici che stai partendo per quella che di fatto è la capitale economica di Israele (lo è anche di diritto, ma solo per le ambasciate, giacchè il governo è tutto a Gerusalemme), ti prendono un po’ per matto. I ricordi delle bombe dei terroristi palestinesi sono ancora forti nella mente di noi italiani, e quindi la prima reale sorpresa è quella di trovare una città tranquilla, sicura, con pochissima polizia per le strade, con quella minima per garantire la sicurezza, per intenderci molto meno di quella che trovi ad esempio a Rio de Janeiro.

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La Tel Aviv che ci accoglie è una città liberal, aperta, gioiosa, goduriosa. Una città dove il 30% degli abitanti del centro sono gay o lesbiche, una città che ha un centro gay a tre piani finanziato dal governo municipale di destra. Una città splendida, affacciata su un mare bellissimo, con belle spiaggie che ricordano un po’ – per il rapporto che gli abitanti hanno col mare – Sidney o Rio. Una città divertente, con una bella spiaggia posizionata – sarà un caso? – tra quella dedicata ai religiosi e quella per i cani, con gustosi aperitivi sul mare, e belle feste. Una città con tantissimi party gay, uno per ogni sera, soprattutto quelli del venerdì, che poi è il nostro sabato, visto che qui di sabato non si muove una foglia. Tel Aviv si è preparata lungamente a questo Gay Pride. Le vie della città sono addobbate con le bandiere rainbow, e bar, locali e ristoranti brulicano di colori arcobaleno. Poca, pochissima la polizia. Siamo una trentina tra giornalisti e imprenditori lgbt di ogni angolo del mondo, invitati da una organizzazione israeliana ad assistere al loro Gay Pride, per raccontare cosa è oggi Israele per gay e lesbiche. E le sorprese, in effetti, non tardano ad arrivare.

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Assistere ad una parata gioiosa e colorata come sa essere solo il Gay Pride in pieno Medio Oriente, in uno staterello circondato da paesi in cui essere gay e lesbiche è quasi sempre un crimine punito anche con la morte, è la prima grande sorpresa. Assistervi dopo essere stati accolti con un discorso ufficiale del Sindaco laburista della città, è ancora più sorprendente. Ma la grande sorpresa è la partecipazione della gente, di tutta la città, che accorre per quella che pare ormai essere diventata una grande festa di popolo, per gay e lesbiche certamente, ma anche per i loro tanti, tantissimi amici eterosessuali. Eytan Fox, il regista di un piccolo capolavoro del cinema gay quale è "Yossi & Jagger" ed oggi brillante showman della televisione, gay dichiarato, ci racconta che per capire l’atteggiamento di Israele nei confronti dell’omosessualità basta riflettere sul fatto che questa nazione è fondata sulla morte: la morte dell’Olocausto, ovviamente, ma anche e soprattutto quella degli anni del terrorismo palestinese, quando da queste parti prendere un autobus poteva essere una cosa assai rischiosa. "Questa sorta di fatalismo -ci dice -, non può che far accettare ogni diversità, compresa quella gay: ogni figlio va tenuto stretto, anche se omosessuale". 

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E così, continua a raccontarci, anche nelle comunità più religiose, nei kibbutz più chiusi della Israele più conservatrice, i giovani gay e le giovani lesbiche vengono lasciati andar via, magari con qualche aiuto economico. "E’ una novità questa – ci sottolinea -, perchè solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile in queste comunità parlare di omosessualità, mentre oggi l’argomento viene affrontato, anche se, come dire, a modo loro". La parata è tutta da vedere, comunque. Parte dal centro gay, si snoda per le vie un po’ strette del centro ed arriva, con grande sorpresa, sulla spiaggia, dove un party con musica house e zero discorsi (capito, organizzatori italiani del gay pride??) accoglie i circa centomila partecipanti al Gay Pride più partecipato della storia di Israele – così sottolineano dal palco -. I partecipanti allora si dividono tra quelli che ballano, quelli che si riposano sotto il sole e quelli che si tuffano in acqua, in una sorta di Pride marino, tutt’altro che consueto.

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Etai Pinkas, bel presidente del centro gay di Tel Aviv, ci racconta qualche segreto del loro successo: una forte autonomia dalla politica ("noi cerchiamo il dialogo con tutti quelli con cui c’è uno spiraglio per parlare", sottolinea), una grande attenzione al mercato ("se sei imprenditore, anche se non sei un militante, comunque fai parte integrante della comunità e contribuisci al cammino di tutti noi", ci dice, con un po’ di sorpresa da parte nostra), un grande pragmatismo ("a noi interessano i risultati, non le discussioni sui princìpi") ed infine un forte spirito di servizio ("il mio lavoro è un altro  e le mie aspirazioni sono ben altre, non certo politiche – ci precisa subito -, ma sono felice di poter dedicare qualche ora del mio tempo alla mia comunità"). Vi viene in mente forse qualcosa che noi italiani possiamo imparare pure da questo angolo di Medio Oriente?

di Alessio De Giorgi da Tel Aviv