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UNA RAGAZZA IN GAMBA

15 anni, si accetta, ma non ne parla con i suoi

Ho quindici, quasi sedici anni, sono lesbica da uno e mezzo. E’ difficile spiegare: per tutte le medie non ho avuto neanche mezzo dubbio sulle mie tendenze sessuali, anzi avevo già qualche storia con dei ragazzi, a differenza delle mie compagne di classe. Mi sono avvicinata ai problemi legati all’intolleranza verso gli omosessuali con passione, da lì la domanda schietta di mia madre (quando io avevo meno di quattordici anni): "ma, dimmelo sinceramente, tu sei lesbica?". Non me l’ha chiesto con preoccupazione o ansia, era una domanda, voleva semplicemente sapere. Anch’io all’epoca avevo le idee confuse, e non ho potuto che risponderle di no, che io non ero lesbica. Per giorni ho ripensato a quella conversazione, avrei voluto riaprire il discorso, ma poi per dirle cosa, che avevo un sacco di dubbi? Avrei dovuto dirle troppe cose che ho sempre taciuto, sia a lei che a mio padre. Non ho mai parlato loro dei ragazzi che mi piacevano o con cui stavo insieme, non ne sentivo minimamente il bisogno.

Dopo pochi mesi mi sono innamorata, ovviamente non ricambiata, di una ragazza etero. Le ho scritto lettere, poesie, con una delle quali ho vinto il premio letterario della mia scuola. Il contenuto era inequivocabile: era un coming out in piena regola. Ho dato lettura del testo nell’auditorio della scuola, davanti a genitori, insegnanti e preside. Ho visto tanta di quella disapprovazione nei loro volti, non ero preparata. A mia madre ho detto che quel testo non era stato ispirato da una persona in carne ed ossa, ma da una prosa poetica dedicata a una donna di Dino Campana. Lei ci ha creduto, io mi sono sentita sollevata e poi colpevole. Ai miei compagni di classe avevo già parlato della mia omosessualità, anche per evitare equivoci, e loro l’avevano presa bene. Avendo appena cambiato scuola, mi ero subito presentata per quello che sono, insomma, avevo subito detto loro che sono lesbica. Ma sento che non mi considerano una di loro, mi guardano e mi trattano sempre con un certo distacco. Non so se questo sia dovuto solo alla mia omosessualità, o anche al mio carattere un po’ introverso. Tentano sempre di "ricondurmi sulla retta via"; per capirsi, quando passa un ragazzo mi martellano chiedendomi se mi piace, e se io sfinita gli rispondo di sì, corrono a presentarmelo. Non hanno nessun diritto di trattarmi in questo modo, anche se si può anche considerare un gesto affettuoso.

A giugno ho conosciuto, attraverso amici comuni, una ragazza che, come ho scoperto più tardi, si definiva con molta naturalezza bisessuale. Una specie di colpo di fulmine: capelli lunghi rossi, bella, sincera, impegnata, di sinistra. Per un’intera festa abbiamo parlato distese dietro a un divano, ci siamo baciate. Un’emozione indefinibile: le sue labbra morbide nel buio e l’amore che ci cingeva come un’aureola. La amavo profondamente. Una sera, eravamo in centro di Firenze, mentre ci baciavamo una signora (che non avevo mai visto prima) ha cominciato a urlare che eravamo delle pervertite, che dovevamo andarcene, che Firenze non era una città per gente come noi. Dopo pochi giorni lei mi ha lasciato, dicendo che non era lesbica, che era stato tutto uno sbaglio, che voleva ritornare alla normalità. Mi sono sentita ferita: ho sentito che il suo disprezzo era anche nei miei confronti. Non ho avuto più la forza di parlarle. Ho sofferto per mesi, e avevo quasi superato tutto. Qualche giorno fa la ho rivista a una manifestazione, era insieme a degli amici, ha fatto completamente finta di niente: mi ha salutato con affetto, ma come un’amica. Nemmeno una parola, una scusa. Mi sono sentita malissimo, non ho fatto che piangere per giorni. E il brutto era che non potevo condividere il mio dolore con i miei genitori.

E si ritorna al problema del coming out: cosa devo fare? Sono troppo giovane per parlare ai miei genitori della mia omosessualità? Ho paura che non mi prenderebbero sul serio, o pure che tenterebbero in un qualche modo di reprimermi. E poi come potrei spiegare tutto quello che ho detto in questa lunghissima lettera (anzi, ne approfitto per scusarmi) ai miei genitori? E ai miei parenti? Ho bisogno di aiuto, non so prendere una soluzione.

Grazie comunque dell’attenzione

Ilde

Ciao Ilde,

certo è che leggendoti mi ha subito colpito che oggi, coi tuoi 15 anni hai già un pezzo di storia! Ciò a mio avviso ti pone ovviamente "in avanti" rispetto a tanti altri giovani/e che mi scrivono qui. Allo stesso tempo però, non riesco a capire cosa ti sia successo dal momento che, avendo una mamma così serena e aperta al dialogo tu non abbia approfittato a parlarle ancora di più. Dici di non averlo fatto perché avevi dubbi. Non si può secondo te parlare dei propri dubbi? Oppure, si comunica con le persone solo quando siamo sicuri e decisi? Certo che no! E poi dopo, e non mi capacito di questa cosa, hai continuato a mentirle ferendo secondo me te stessa, perdendo un po’ di autostima… Ma perché mai? Cosa temi, considerando che lei, tua madre, sembrerebbe essere disponibile?

La questione del dirlo, del parlarne, nella seconda parte della lettera, riguarda invece più la sfera personale e, anche lì ci sono le difficoltà ad esprimersi, anche se diverse, ma chiariscono meglio il tipo di paura: "Ho paura che non mi prenderebbero sul serio, o pure che tenterebbero in un qualche modo di reprimermi!"

Esplorare questa paura dentro di te e parlare dei tuoi dubbi è, secondo me, l’unica strada per attraversarli e chiarirli. Un pizzico di coraggio lo puoi trovare anche nella sua disponibilità e, sicuramente dentro di te, e non te ne manca se penso a come ti sei baciata in pubblico! Immagino un’esperienza intensa e che spesso ancora non c’è "concessa" (culturalmente parlando) fare con serenità.

L’episodio sgradevole che hai avuto con la tua ex compagna, mi fa pensare che a volte "l’omofobia interiorizzata" spunta fuori facilmente e, la persona che ne "soffre" senza accorgersene attua strategie di evitamento e di "cancellazione" alle quali non possiamo che arrenderci, possiamo invece e solo, rinnovare la nostra disponibilità al dialogo, ma se l’altra/o non risponde affatto, allora meglio lasciar passare del tempo, forse un giorno…. cresciute.

Infine, è vero che le persone importanti possono in qualche modo avere influenza su di noi, ma non credo che però, possano farci pensare e farci fare quello che NON vogliamo, mi riferisco al "reprimere" di cui parli. La tua attuale identità, il tuo modo di essere così aperto e determinato, anche se a volte smarrito, non credo potrà compromettere lo sviluppo del tuo percorso verso l’autodeterminazione, di diventare cioè ciò che sei e vuoi essere, di apprezzarti anche coi tuoi dubbi, che sono, a volte, il motore di un cambiamento.

Un augurio natalizio e, che sotto l’albero ci sia ciò che più desideri!

LEO

di Maurizio Palomba