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UNIONI GAY, IL SI DELL’EUROPA

Ecco i passi degli articoli definiti dal Parlamento Europeo sulla tutela delle coppie di fatto. Tra le nazioni, la Gran Bretagna è all’avanguardia e l’Austria la più omofoba. E in Italia? Ecco le dichiarazioni dei politici sulle prospettive di trasformare in legge l’esortazione europea.

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Ormai la notizia ha fatto il giro dell’Unione. Finalmente dopo anni di battaglie di tutti i Gruppi di Azione Omosessuale dei 15 Stati Membri è stata approvata con larga maggioranza la Risoluzione del Parlamento Europeo che invita i governi ad adeguarsi alla “Carta Europea dei Diritti dell’Uomo”, riconoscendo, tra le altre cose, le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Alla definizione ultima dei sei articoli del paragrafo “Stili di vita e forme di relazione” si è arrivati dopo anni di accese discussioni e dibattiti in seno alle istituzioni. Il problema, a livello comunitario, si fece più spinoso con una sentenza della Corte del Lussemburgo del 1997. Una lavoratrice delle Ferrovie dello Stato belga chiese l’applicazione della Carta dei Diritti per ottenere il riconoscimento del diritto di viaggiare gratuitamente per la sua compagna. L’Alta Corte si trovò costretta a rifiutare l’eccezione, poiché non esisteva alcun obbligo per gli Stati di fare propria la Carta. Da lì, dopo tre anni di richieste e pressioni, ed il verificarsi di casi analoghi, alcuni gruppi parlamentari delle sinistre sono riuscite a far passare varie mozioni ed il 16 marzo il testo definitivo.
L’art.56. “chiede agli Stati membri di garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali;”
Ed in più a rafforzare il concetto di piena parità, a prescindere dalle proprie inclinazioni sessuali, l’art.57. “osserva con soddisfazione che in numerosissimi Stati membri vige un crescente riconoscimento giuridico della convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso; sollecita gli Stati membri che non vi abbiano già provveduto ad adeguare le proprie legislazioni per introdurre la convivenza registrata tra persone dello stesso sesso riconoscendo loro gli stessi diritti e doveri previsti dalla convivenza registrata tra uomini e donne; chiede agli Stati che non vi abbiano ancora provveduto di modificare la propria legislazione al fine di riconoscere legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso; rileva pertanto la necessità di compiere rapidi progressi nell’ambito del riconoscimento reciproco delle varie forme di convivenza legale a carattere non coniugale e dei matrimoni legali tra persone dello stesso sesso esistenti nell’UE;”

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Ma stavolta il segnale dell’Unione è ancora più forte. Affinché non ci siano definitivamente dubbi sulle posizioni dell’UE rispetto alla tematica omosessuale, pone l’accento su due spinose realtà che ancora affliggono la civilissima Europa; l’art.58. “rileva tuttavia che i cittadini europei continuano a soffrire, in particolare nella loro vita personale e professionale, di discriminazioni e pregiudizi dovuti al loro orientamento sessuale; chiede pertanto agli Stati membri nonché alle istituzioni europee interessate di porre urgentemente rimedio a tali situazioni;” mentre con l’Art.59 “deplora che nei codici penali di taluni Stati membri siano tuttora vigenti disposizioni discriminatorie sull’età del consenso del minore per rapporti omosessuali nonché altre discriminazioni, in particolare nell’esercito, sebbene molti organismi competenti per i diritti umani e questo stesso Parlamento abbiano condannato tali disposizioni, e ribadisce la propria richiesta di abrogarle;”.
Quindi non solo l’unione di fatto delle coppie omosessuali, ma anche il riconoscimento dei diritti all’uguaglianza nell’intera legislazione degli Stati, dall’età minima per i rapporti sessuali tra gay consenzienti che attualmente discrimina maggiorenni da minori, alla possibilità di accesso alla carriera militare, argomento che scatenerà sicuramente una levata di scudi ancora più forte nelle varie roccaforti del machismo di cartone.

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E mentre da una parte il Parlamento nellart.60. “prende con soddisfazione atto dell’iniziativa del Regno Unito volta a modificare la relativa legislazione,” deve nello stesso articolo “constatare con estrema preoccupazione che l’Austria continua ad applicare l’articolo 209 del proprio codice penale che perseguita gli omosessuali; esorta ancora una volta l’Austria ad abrogare tale disposizione discriminatoria, ad amnistiare immediatamente e a scarcerare tutti i detenuti a seguito di tale provvedimento;”, e viste le ultime vicende politiche austriache ogni commento è vano e superfluo.
Le reazioni in Italia, come era facilmente prevedibile, sono state discordanti. Da un lato l’anima clericale del Paese è insorta per quello che definisce, come si potrà leggere nel prossimo numero di Civiltà Cattolica, “un attentato alla famiglia”, posizione sostenuta da AN, Popolari e FI. D’altro canto le sinistre hanno vissuto l’avvenimento in maniera più soddisfatta come Marco Taradash che definisce tale risoluzione “un segno di civiltà che ci viene dall’Unione”. Più forte, anche se per molti versi condivisibile, la posizione di Marco Cappato, deputato europeo della Lista Bonino e Coordinatore dei Radicali: “Mentre in Italia l’oscurantismo, l’integralismo l’ideologia clericale fa ogni giorno nuovi adepti dall’Europa, giunge un segnale di libertà e di tolleranza.

Il voto del Parlamento Europeo, che invita i paesi membri a istituire il registro per le coppie omosessuali, va salutato con soddisfazione. C’è da augurarsi che questa decisione sia accolta anche dal legislatore italiano, senza provocare guerre di religione alle quali siamo purtroppo abituati da quando i sedicenti rappresentanti dei “cattolici” in politica fanno a gara nel mostrassi genuflessi dinanzi alle gerarchie vaticane”.
Ma la vera battaglia si giocherà nel prossimo anno quando starà al nostro governo dover trasformare in legge le raccomandazioni europee. Per stessa ammissione del vicepresidente del Senato, la diessina Ersilia Salvato, in una dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera del 17 marzo, l’Italia risulta da tempo inadempiente agli appelli contro le discriminazioni sessuali.
E’ venuto adesso il momento, dopo anni di contrattazioni a tutti i livelli perché ci venga riconosciuto ciò che è legittimo, di agire anche noi e di ricordare al mondo politico che quello che chiediamo non è un favore ma una cosa che sono tenuti a darci.