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VALDESI: “SÌ AI PACS!”

Il prof. Sergio Rostagno: “Qualunque tipo di unione può essere benedetta agli occhi di Dio”. Arcigay: “Da sempre nostri amici. Furono i primi a ospitare un convegno omosessuale in Italia”.

I PaCS non sarebbero un “attentato alla famiglia” né minerebbero il matrimonio, e l’articolo 29 della Costituzione va interpretato in senso “estensivo” e non “restrittivo”. Lo afferma Sergio Rostagno, già docente di Teologia dogmatica alla Facoltà valdese di teologia, e coordinatore della Commissione della Tavola valdese “sui problemi etici posti dalla scienza”.

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Rostagno (foto) è stato intervistato dalla Nev, l’agenzia delle chiese evangeliche italiane, dopo la critica ai PaCS formulata dal cardinale Ruini.
«Proprio perché le unioni di fatto (di ogni tipo) hanno caratteristiche loro proprie, – afferma Rostagno – occorre estendere loro riconoscimenti e diritti che proteggano e garantiscano il benessere dei partner. Questo scopo può essere raggiunto con apposite leggi. In nessun modo ci sarebbe un attentato alla famiglia. I valori positivi che in essa si possono trovare, li si troverà ovviamente ovunque e non dipendono certo dalla nostra etichetta (famiglia, unione, patto ecc.). La realtà conta, non il nome, e la realtà non la governa nessuno. Noi governiamo semmai rapporti di tipo giuridico».
Alla domanda se i PaCS non minino l’istituzione del matrimonio, Rostagno risponde: «Se il matrimonio regolamentato come lo conosciamo dall’evoluzione del diritto romano è un’istituzione, altrettanto lo possono essere altri tipi di unione. La coscienza religiosa può essere interessata unicamente dal modo con cui si vive il matrimonio o qualunque altro tipo di unione. Qualunque tipo può essere benedetto, agli occhi di Dio. Quanto ai problemi dei figli, ne hanno tutti. In ogni tipo di rapporto contano molti fattori che non sono regolamentabili. I problemi si affrontano se e quando sorgono, non preventivamente con esclusioni e condanne. È bene anzi valorizzare il concetto di patto all’interno della famiglia e del matrimonio. Del patto essi sono espressione, anche se il patto non esaurisce certo ogni aspettativa della convivenza familiare».
«Salvi restando i rapporti di tipo giuridico, che devono ispirarsi a criteri di giustizia e previdenza, – prosegue il teologo valdese – la specificità da salvaguardare riguarda la coscienza di ognuno. Se la famiglia tradizionale è un modello positivo, tanto più può diffondere i suoi valori. Ma ogni modello positivo altro non è che un tentativo di tradurre in modo confacente l’affetto e la solidarietà, oltre che la responsabilità nei rapporti, cioè cose che non possono essere comandate o regolamentate, ma che si ottengono con l’educazione. Lo Stato deve essere imparziale e aiutare tutti a condurre una vita degna e ricca di relazioni positive. L’art. 29 della Costituzione (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”) non va interpretato in modo restrittivo, ma estensivo».
Già nel 2003, Sergio Lo Giudice, presidente nazionale Arcigay, rispondendo alla e-mail di un lettore scrisse: «La Chiesa valdese e metodista ha da tempo avviato una seria e coraggiosa riflessione anche sul tema dell’omosessualità (come sulla bioetica e da sempre sulla laicità dello Stato e della scuola pubblica, e come anni fa sul tema del divorzio e su quello dell’aborto) fondata su una lettura della Bibbia non fondata su un pregiudizio omofobico. Questa minoranza significativa nella società italiana ha spesso dimostrato che anche in questo paese la fede religiosa può motivare scelte di libertà anziché di autoritarismo clericale: per questo merita il nostro appoggio».

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Aurelio Mancuso, segretario nazionale Arcigay, è entusiasta: «Da credente – dice – ho sempre considerato i valdesi come miei amici. Furono i primi a ospitare un convegno omosessuale in Italia nelle loro sedi di Roma e Torre Pellice (To). Oggi ci ricordano che la religione non deve interferire sulle scelte di uno Stato laico. Il fatto stesso che abbiano eletto una donna, Maria Bonafede [foto], a capo della più antica chiesa protestante d’Italia, è un segno ulteriore della loro grande capacità di recepire positivamente le concrete aspirazioni della società moderna».
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di Pasquale Quaranta