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Informare senza discriminare: un problema non solo italiano

Francia, Inghilterra e Italia: media europei e omofobia nel panel di Omphalos all’Ijf.

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Da molto tempo, ormai, i media dedicano spazio quotidiano al mondo LGBTQI, complici i piccoli passi avanti che si stanno compiendo nelle varie realtà istituzionali e non. Non sempre, però, l’attenzione mediatica fa bene alla causa LGBTQI: troppo spesso, infatti, per errori involontari o per malizia, i media distorcono la realtà e discriminano attraverso l’uso di un linguaggio non depurato da stereotipi culturali omofobi.
Se ne è discusso durante la nona edizione del Festival Internazionale del Giornalismo, all’interno del Panel organizzato da Omphalos – Arcigay Arcilesbica dal titolo “Discriminazione, pregiudizi e ruolo dei social media nell’era del matrimonio gay”. Cinque gli ospiti nazionali e internazionali: Vincenzo Branà (responsabile dell’ufficio stampa Arcigay), Helena Horton (The Daily Mirror), Mathieu Magnaudeix (Fondatore dell’associazione giornalisti LGBT francesi), Daniele Viotti (copresidente dell’intergruppo LGBT al parlamento europeo), Caterina Coppola (direttrice di Gay.it).

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Un’occasione unica di confronto tra operatori nel campo dei social media, che ha mostrato come il pregiudizio e la discriminazione siano ancora un problema su cui il giornalismo deve interrogarsi. Negli anni, sono stati vani i tentativi delle associazioni LGBTQI e dell’UNAR (che ha pubblicato un opuscolo intitolato “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”), accusati di voler “genderizzare” la stampa.
Proprio Magnaudeix, che è anche un reporter di Mediapart, ha sollevato il problema dell’influenza delle correnti conservatrici e cattoliche francesi sui media nazionali, che nel periodo dell’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso hanno fortemente osteggiato le rivendicazioni del Movimento. Da lì la necessità di fondare un’associazione che sensibilizzi i media al rispetto e alla non discriminazione, attraverso dibattiti e materiali informativi, come l’opuscolo “Informare senza discriminazione”. Da ricordare che proprio da movimenti francesi come “La Manif pour tous” hanno tratto ispirazione i vari movimenti omofobi italiani facendo loro la chimerica “ideologia del gender”.

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Secondo il reporter, il giornalismo francese dovrebbe capire che l’omosessualità non è una questione obbligatoriamente privata. Ecco che il caso Philippot ha dato lo spunto per discutere sull’annosa questione dell’outing: alla notizia del braccio destro di Marine Le Pen paparazzato con un altro uomo, l’opinione pubblica francese si è profondamente divisa, considerandola, appunto, una questione privata.
Non più rassicurante la situazione anglosassone riportata da Horton, giornalista del Daily Mirror, dove si occupa di politica, diritti della comunità LGBTQ e degli animali. Uno scenario in cui i media sono vicini alla causa gay, dimenticando però lesbiche e transessuali. La rappresentazione, è quella di un’opinione pubblica che accetta l’omosessualità come intrattenimento, più che come componente della società. Secondo uno studio recente, infatti, l’82% della copertura mediatica data dalla BBC alla comunità LGBT è stata riservata a uomini gay bianchi e borghesi. Un sessismo palese che tollera i “vizietti” dei più ricchi, ma che non permette alla società di liberarsi dei pregiudizi maschilisti. Sconcertante che i media inglesi utilizzino ancora il termine “travestito” per riferirsi a persone transgender.

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Per una volta l’Italia riesce a conformarsi alla situazione europea, così come confermato dagli interventi di Branà e Coppola. A parte le testate vicine alla destra e confessionali, palesemente schierate sono proprio i giornali che dovrebbero garantire un’informazione depurata da ogni ideologia o pregiudizio a cadere spesso in errori clamorosi. A partire dall’utilizzo di termini come “matrimonio gay” per riferirsi all’apertura dell’istituto del matrimonio alle coppie same-sex, fino ad arrivare alle persone transessuali, verso cui, usando aggettivi e pronomi sbagliati, persiste la maggiore discriminazione.
Il giornalismo ha il grande compito di raccontare la realtà in tutte le sue componenti, in modo fruibile al grande pubblico, attraverso l’incontro o lo scontro di più punti di vista. Ma i diversi punti di vista non possono mai portare alla discriminazione e alla distorsione della realtà, pena la disinformazione. Il giornalismo italiano e straniero si trova ora davanti ad un bivio: dovrà presto scegliere da che parte stare. Potrà scegliere di continuare ad accattivarsi il pubblico poco preparato e a volte intriso di omofobia calpestando la vita delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans, oppure di dar voce alla realtà quotidiana delle loro vite, con la consapevolezza che un termine inadeguato può calpestare la dignità di quelle persone che hanno come unica colpa quella di vivere la propria vita fuori dell’armadio.

di Marco Mancini